Cosa vediamo quando vediamo un colore? Che cos’è il “verde” per due persone diverse? Forse c’è chi lo vede in un modo e chi in un altro? Infine, c’è chi vede tutti i colori, chi qualcuno in meno (i daltonici). E poi ci sono cinque persone che ne hanno visto uno nuovissimo, per la prima volta nella storia dell’umanità.
Cinque ricercatori dell’Università di Berkeley hanno infatti lavorato a un progetto che gli ha consentito di sperimentare qualcosa di unico: la visione di un colore che non esiste in natura. Olo, così è stato chiamato questo verde-bluastro con saturazione senza precedenti, è nato da un esperimento di neuroscienza straordinario, impossibile solo fino all’anno scorso. La percezione delle persone è stata resa possibile da un sistema laser ultraspecifico che ha stimolato esclusivamente i coni di lunghezza media della retina (“M”), saltando completamente i coni più corti (“S”) e quelli più allungati (“L”).
Com’è che vediamo
Facciamo un attimo un salto indietro. Come facciamo a vedere i colori? Semplice: la visione dei colori inizia quando la luce attraversa cornea e cristallino, raggiungendo la retina. Qui, i coni (delle cellule del nostro occhio che hanno la particolarità di essere fotosensibili) convertono la luce in segnali elettrici trasmessi al cervello attraverso il nervo ottico. Esistono tre tipi di coni, come abbiamo visto: gli “S” (più corti, sensibili alle frequenze elettromagnetiche della luce blu, attorno ai 430 nanometri), gli “M” (sensibili alla frequenza del verde, attorno ai 530 nm) e gli “L” (sensibili alla frequenza del rosso, più o meno 560 nm). Abbiamo sempre scritto “più o meno”, perché essendo cellule, la loro lunghezza non è mai esattamente precisa e quindi persone diverse, in base al proprio corredo genetico e quindi all’evoluzione, hanno prevalenze di cellule più o meno lunghe, e quindi una sensibilità leggermente diversa.
La teoria del colore dal punto di vista dei coni
Colore | Coni utilizzati | Descrizione |
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Rosso | L | Principalmente coni L (560 nm) |
Verde | M | Principalmente coni M (530 nm) |
Blu | S | Principalmente coni S (430 nm) |
Giallo | L + M | Combinazione di coni L e M |
Ciano | S + M | Combinazione di coni S e M |
Magenta | S + L | Combinazione di coni S e L |
Bianco | S + M + L | Tutti e tre i coni in uguale misura |
Viola | S + L debole | Principalmente coni S con poca attivazione L |
Arancione | L + M debole | Principalmente coni L con poca attivazione M |
Marrone | L + M debole + S debole | Tutti e tre i coni a bassa intensità |
Olo | Solo M | Esclusivamente coni M (impossibile in natura) |
Quando la luce colpisce questi coni, la loro combinazione di attivazione genera tutti i colori percepibili. Ad esempio, la luce gialla stimola sia i coni M che L. Il cervello interpreta queste combinazioni come l’intera gamma cromatica visibile. Ad alcune persone mancano alcuni tipi di coni (sono i daltonici, che sono di tipi diversi), ma tutti quanti però percepiscono un mix di colori da frequenze diverse.
La scoperta degli scienziati è stata quella di riuscire a costruire un sistema per stimolare solo i coni con la lunghezza intermedia e non gli altri, cosa che in natura non è possibile. Questo risultato rappresenta un traguardo tecnologico senza precedenti. Per farlo, c’è stato bisogno dell’intelligenza artificiale e di un laser a bassa emissione particolarmente accurato.
Il sistema, denominato “Oz”, ha mappato con precisione millimetrica le retine dei volontari, identificando con esattezza la posizione di ogni singolo cono grazie a una rete neurale capace di discriminare miliardi di fotorecettori. Solo così è stato possibile dirigere micro-impulsi laser esclusivamente ai fotorecettori responsabili della percezione del verde, evitando qualsiasi contaminazione dei segnali. Questo ha generato nel cervello un segnale cromatico completamente inedito.
Nomen omen
Il nome “Olo” non è casuale: deriva da una codifica binaria che rappresenta l’attivazione dei coni retinici. In questo sistema, 0 indica nessuna stimolazione e 1 la stimolazione attiva. Lo schema [0,1,0] descrive perfettamente l’esperimento: zero stimolazione per i coni S, piena stimolazione per i coni M, zero per i coni L. Trasformato in lettere con una sorta di Camel case, questo codice diventa “olo”, un nome che racchiude la natura matematica della scoperta.

I partecipanti all’esperimento hanno descritto Olo come un colore impossibile da riprodurre su uno schermo. Confrontato con tutti i colori digitali esistenti, nessuno riusciva a eguagliare la sua intensità. Il verde acqua (il suo codice: #00ffcc) risulta essere il più simile, ma anche aumentandone la saturazione al massimo con software di fotoritocco, la differenza rimane abissale. Infatti, Olo supera ogni limite fisico degli attuali spazi colore sui monitor. Semplicemente, i nostri schermi non sono progettati per poterlo riprodurre.
Solo cinque persone hanno visto Olo: il numero ristretto non è una scelta, ma una necessità. L’esperimento richiede una mappatura retinica personalizzata estremamente dettagliata e un laser di precisione micrometrica. Ogni retina ha una configurazione unica dei coni, rendendo impossibile standardizzare il processo. Tre dei cinque sono coautori dello studio, segno della complessità e del rischio dell’esperimento. In un certo senso, questi cinque individui hanno sperimentato qualcosa di unico nella storia umana.
Le implicazioni vanno oltre la pura curiosità scientifica. La tecnologia potrebbe ad esempio rivoluzionare l’approccio al daltonismo, permettendo a chi ne soffre di percepire almeno temporaneamente quei colori che sono altrimenti invisibili. Per i neuroscienziati, offre uno strumento inedito per studiare come il cervello traduce gli stimoli retinici in esperienze soggettive.
Lo studio solleva anche degli interrogativi fondamentali sulla natura del colore: è una proprietà fisica della luce, un processo neurologico o un’esperienza puramente soggettiva? Adesso abbiamo una risposta di tipo scientifico: Olo sembra collocarsi al confine tra tutte e tre le dimensioni. La sua esistenza dipende interamente dalla manipolazione tecnologica della percezione umana.
Le limitazioni degli attuali display digitali non devono sorprendere: gli spazi colore sRGB e P3 coprono (usato da Apple) rispettivamente solo il 35% e il 50% della gamma cromatica teoricamente percepibile. Olo dimostra che la frontiera della visione è ancora lontana dall’essere raggiunta. La ricerca prosegue per svelare altri segreti nascosti della percezione umana e per sviluppare tecnologie capaci di spingere oltre i confini attuali della visualizzazione.
Alcune fonti di questo articolo:
- https://news.berkeley.edu/2025/04/22/scientists-trick-the-eye-into-seeing-new-color-olo/
- https://www.theatlantic.com/science/archive/2025/04/olo-color-berkeley-teal/682557/
- https://www.designboom.com/design/theres-new-color-olo-stuart-semple-create-paint-yolo-uc-berkeley-04-24-2025/
- https://www.aljazeera.com/news/2025/4/26/have-scientists-discovered-a-new-colour-called-olo
- https://economictimes.indiatimes.com/news/international/new-zealand/theres-a-new-colour-olo-and-you-have-never-seen-it/articleshow/120486667.cms
- https://www.sbs.com.au/news/article/olo-new-lab-made-colour-or-science-fiction-olo-could-this-be-the-answer-to-colour-blindness/su52fq5m5
- https://eu.usatoday.com/story/news/nation/2025/04/23/new-color-what-is-olo/83229986007/
- https://en.wikipedia.org/wiki/Camel_case