C’era una volta, sessant’anni fa, un’Italia che non aveva paura di inventare il futuro. Era l’ottobre del 1965 quando l’Olivetti presentò al mondo la Programma 101, soprannominata “Perottina” dal nome del suo creatore, l’ingegner Pier Giorgio Perotto, e il pianeta dell’informatica smise per un attimo di respirare. Non perché fosse l’ennesimo armadio pieno di valvole e transistor, ma proprio per il motivo opposto: perché era piccola, elegante, e soprattutto utilizzabile da chiunque sapesse premere dei tasti. Un’eresia tecnologica che anticipò di almeno un decennio l’idea stessa di personal computer: ancora nessuno aveva osato immaginare che un calcolatore potesse stare su una scrivania invece che in una stanza climatizzata.

L’azienda di Ivrea era un piccolo colosso alimentato dall’innovazione. I suoi prodotti dovevano stupire e cambiare lo status quo. Olivetti aveva già stupito il mondo con le sue macchine per scrivere che sembravano sculture, con le sue calcolatrici meccaniche supertecnologiche, con il primo mainframe con circuiti allo stato solido (Elea 9003) e tante altre innovazioni. Ma questa volta aveva fatto qualcosa di più audace. Aveva preso la complessità infinita dei mainframe e l’aveva domata in una scatola dal design così raffinato che Mario Bellini, il designer che le diede forma, vinse il Compasso d’Oro.

Programma 101 “Perottina”

AnnoEvento/SviluppoCaratteristiche principaliImpatto/Rilevanza
1962Inizio progetto da parte di OlivettiConcezione di un calcolatore elettronico da tavoloVisione innovativa di un personal computer
1964Presentazione alla Fiera Mondiale di New YorkMacchina compatta, programmabile, con tastieraSorprende il mondo per usabilità e design
1965Uscita commerciale della Programma 101Calcoli programmabili, memoria, stampante integrataPrimo computer personale commercializzato
Fine anni ’60Uso in NASA per missioni ApolloAffidabilità e precisione in ambito aerospazialeTestimonianza di robustezza e versatilità
1970Fine produzioneCirca 44.000 unità venduteModello pionieristico, base per pc futuri

La “Perottina” pesava 35 chili, aveva una tastiera che sembrava invitare le dita a danzare e una stampante integrata che produceva risultati su strisce di carta con la precisione di un orologio svizzero. Era programmabile con schede magnetiche che si infilavano come fossero floppy disk ante litteram, e poteva memorizzare fino a 120 istruzioni.

Un computer molto personale

Gli americani la videro alla Fiera Mondiale di New York del 1965 e rimasero sbalorditi. Non capivano come gli italiani, famosi per la pasta, la pizza e il Colosseo, fossero riusciti a condensare tutta quella potenza in un oggetto che sembrava uscito da un film di fantascienza. Ma erano pronti a valutare l’innovazione da dovunque venisse. Tanto che la NASA ne comprò quarantacinque esemplari per i calcoli della missione Apollo 11, preferendola ai mastodontici computer Made in USA che costavano dieci volte tanto.

Soprattutto, però, vendette in ambienti insospettabili, dove prima l’idea stessa di un computer (cioè un mainframe) non era immaginabile. Così, la “Perottina” venne usata dai sarti di mezza Europa per ottimizzare il taglio dei tessuti, dagli ingegneri degli studi professionali per calcolare le strutture dei ponti, dai commercialisti delle città grandi e piccole per fare i conti che prima richiedevano squadre di impiegati armati di regoli calcolatori. La Programma 101 aveva cominciato a liberare una nuova energia che derivava dal portare la potenza di calcolo sul tavolo di chi doveva effettivamente usarla.

Il team di sviluppo della Programma 101 (eccetto Giuliano Gaiti); da sinistra a destra e dal basso in alto: Pier Giorgio Perotto, Giovanni De Sandre, Gastone Garziera eGiancarlo Toppi (Immagine Laboratorio-museo Tecnologicamente, Ivrea / Wikimedia)
Il team di sviluppo della Programma 101 (eccetto Giuliano Gaiti); da sinistra a destra e dal basso in alto: Pier Giorgio Perotto, Giovanni De Sandre, Gastone Garziera, Giancarlo Toppi (Immagine Laboratorio-museo Tecnologicamente, Ivrea – Wikimedia)

Il genio ribelle di Ivrea

Infatti, la vera rivoluzione non stava nei circuiti o nella memoria a linea di ritardo magnetostrittiva, tecnologia che oggi farebbe sorridere qualsiasi smartphone. La rivoluzione stava nell’idea, tutta italiana e tutta olivettiana, che la tecnologia dovesse essere personale oltre che bella, accessibile oltre che potente. Perotto e il suo team avevano capito che il futuro non apparteneva ai sacerdoti del codice binario vestiti di camici bianchi chiusi nelle stanze dei centri di calcolo, ma alle persone comuni che avevano problemi da risolvere. Era una visione così radicale che perfino l’Olivetti stessa faticò inizialmente a crederci, tanto che il progetto venne sviluppato quasi in segreto, come una scommessa personale di Perotto contro lo scetticismo dei vertici aziendali.

L’eredità della Perottina va ben oltre le 44mila unità vendute in tutto il mondo prima che la produzione cessasse nel 1971. Invece, il primo “personal computer” della storia ha dimostrato che l’innovazione non è questione di muscoli tecnologici ma di visione, che il design non è decorazione ma sostanza, che la vera rivoluzione viene dal mettere in discussione non solo come si fanno le cose ma per chi si fanno.

Steve Jobs, che di computer personali qualcosa capiva, avrebbe costruito il suo impero su principi sorprendentemente simili, quindici anni dopo. La differenza è che mentre la Silicon Valley aveva i venture capitalist, Ivrea aveva solo il coraggio di osare.

Oggi, mentre l’intelligenza artificiale promette di rivoluzionare ancora una volta il nostro rapporto con le macchine, la lezione della Programma 101 resta attualissima. Non è la potenza di calcolo che cambia il mondo, ma la capacità di rendere quella potenza accessibile, comprensibile, utilizzabile. L’innovazione vera non sta nel fare macchine più potenti, ma nel fare macchine più umane. E forse, in un’epoca in cui i computer sono diventati scatole nere incomprensibili, avremmo bisogno di un nuovo ingegner Perotto per ricordare che la tecnologia migliore è quella che scompare, lasciando solo la soluzione al problema.

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