Capita alle volte che la scienza si presenti alla porta della storia con una valigia piena di dati e dica: scusate, ma abbiamo sbagliato tutto. È quello che è successo al leone alato di piazza San Marco, che da settecento anni veglia sulla laguna veneziana con la sua mole di bronzo alta due metri e venti e lunga quattro. L’icona della Serenissima, il simbolo stesso di Venezia stampato su bandiere e magliette, inciso su portoni e medaglie, non è veneziano. È cinese. O meglio, era cinese. Prima che qualcuno nel Duecento decidesse di trasformarlo in qualcos’altro.

La scoperta arriva da un team dell’Università di Padova guidato dall’archeologo Massimo Vidale e dal geologo Gilberto Artioli, che hanno analizzato i campioni di metallo prelevati dalla statua durante un restauro negli anni Novanta. L’analisi isotopica del piombo contenuto nel bronzo ha rivelato che il rame proviene dalle miniere del basso fiume Yangtze, nella Cina meridionale. Non c’è margine di errore: quella firma chimica è univoca come un’impronta digitale. E racconta che il leone marciano era in origine uno zhènmùshòu, una creatura ibrida posta a guardia delle tombe imperiali durante la dinastia Tang, tra il settimo e il nono secolo dopo Cristo.

La trasformazione di un mostro

La storia diventa ancora più interessante quando si guardano i dettagli. Il leone mostra cicatrici metalliche dove le corna sono state tagliate, le orecchie accorciate e arrotondate. Qualcuno, probabilmente a Venezia tra il 1260 e il 1270, ha preso questa creatura fantastica cinese e l’ha trasformata in un leone più o meno credibile. Ha limato qui, tagliato là, aggiunto le ali. Il risultato è quella figura che da secoli domina la piazza, e che gli studiosi hanno sempre guardato con un misto di ammirazione e perplessità. Massimo Vidale confessa di essere stato affascinato dal leone fin da giovane proprio per il suo aspetto unico, così diverso da qualsiasi altra statua italiana o occidentale.

Le ipotesi precedenti si erano arrampicate sugli specchi per dare un senso a quel muso prominente, a quei baffi, a quella bocca spalancata con i canini in vista. Si parlava di influenze ellenistiche, di arte anatolica del quarto secolo avanti Cristo, di grifoni persiani. Ma gli studi stilistici ora confermano quello che le analisi isotopiche avevano già rivelato: la testa, la criniera, il petto sono compatibili con l’arte Tang dell’ottavo e nono secolo. Confrontando la statua veneziana con i guardiani di tombe conservati nei musei cinesi, le somiglianze saltano agli occhi. Stesso naso bulboso, stesse protuberanze orbitali, stessa espressione feroce.

Il viaggio di un guardiano

Come sia arrivato dalla Cina a Venezia resta uno dei misteri più affascinanti della storia medievale. La statua era già sulla colonna quando Marco Polo tornò dal suo viaggio nel 1295, quindi l’ipotesi più accreditata coinvolge il padre Nicolò e lo zio Maffeo, che tra il 1264 e il 1266 si trovavano alla corte di Kublai Khan nella capitale cinese. Forse l’hanno vista là, in frammenti e pronta per essere rifusa. Magari veniva via con lo sconto. E loro forse hanno capito che con qualche modifica avrebbe potuto diventare il simbolo perfetto per una Venezia che aveva appena perso Costantinopoli e cercava un’icona forte per riaffermare la propria identità.

Vidale ipotizza che un emissario della Serenissima l’abbia vista a Pechino, magari smontata, e abbia pensato di farsela regalare o comprarla a poco prezzo, pensando che con uno sforzo ridotto potesse essere trasformata in un simbolo dell’evangelista Marco. Probabilmente la statua arrivò a pezzi, viaggiò lungo la Via della Seta, venne riassemblata e modificata a Venezia. Un progetto audace, che richiedeva visione e una buona dose di incoscienza.

Venezia crocevia tra Asia ed Europa

Fase storicaDescrizioneDettagli salienti
Origine cineseIl Leone di Venezia fu originariamente una statua di bronzo cinese della dinastia Tang (618-907 d.C.)Statua di un “zhènmùshòu” (guardiano delle tombe) con caratteristiche tipiche: muso leonino, criniera fiammeggiante, corna.
Modifica a VeneziaNel XIII secolo la statua fu importata a Venezia, probabilmente da Niccolò e Maffeo PoloFu rimodellata localmente: corna rimosse, orecchie accorciate e arrotondate per assomigliare a un leone alato, simbolo di S. Marco.
Simbolo della SerenissimaIl Leone divenne simbolo ufficiale di Venezia intorno al 1260-1270La statua fu posizionata sulla colonna in Piazza San Marco, rappresentando lo spirito di Venezia come città aperta e commerciale.
Scoperta recenteAnalisi chimiche isotopiche del bronzo nel 2024 hanno rivelato la sua provenienza dalla CinaGli isotopi del piombo dimostrarono che il rame proveniva da miniere della Cina orientale, confermando l’origine asiatica.

Un mondo più piccolo di quanto pensiamo

La scoperta del leone cinese ribalta l’idea che abbiamo del Medioevo. Non era un’epoca di confini chiusi e mondi separati. Era già globalizzata, a modo suo, come dice sempre ad esempio il professor Alessandro Barbero. Un’epoca lunghissima (alla fine è durato più di mille anni) e tutt’altro che “oscura”. Secondo Vidale il mondo era globalizzato molto prima e molto dopo il viaggio del grande leone lungo la Via della Seta, e come italiani dovremmo essere orgogliosi che Venezia avesse un legame così significativo con le corti cinesi dell’epoca. La scoperta aggiunge peso all’immagine di Venezia come crocevia di culture, punto di incontro tra Oriente e Occidente secoli prima delle grandi esplorazioni.

La questione identitaria, spesso mal posta, viene scossa proprio dove tocca un simbolo come quello del Leone marciano, ma paradossalmente sottolinea l’altra identità veneziana, quella della Serenissima sempre protesa verso territori ben più lontani del Medioriente. Un’identità di apertura, permeabile, curiosa e affamata di novità. Il leone cinese non tradisce Venezia. La racconta meglio di quanto non abbiamo mai fatto prima.

Cosa cambia davvero

Sul piano pratico, naturalmente, non cambia nulla. Il leone continuerà a vegliare sulla laguna, i turisti continueranno a fotografarlo, le bandiere continueranno a sventolare con la sua immagine. Ma sul piano simbolico è cambiato tutto. Perché questo leone ci ricorda che i simboli sono sempre costruzioni, rielaborazioni, adattamenti. Sono storie che si sovrappongono, culture che si mescolano, oggetti che viaggiano e si trasformano. Il leone di San Marco è veneziano proprio perché è cinese. È forte proprio perché è ibrido. È nostro proprio perché viene da lontano.

Non è un falso, come chiariscono i ricercatori: invece è un caso straordinario di riciclo culturale, un guardiano di tombe Tang trasformato nel leone politico di Venezia. E in questo senso racconta qualcosa di profondo sul modo in cui le civiltà si costruiscono: non in purezza, ma attraverso contaminazioni, prestiti, trasformazioni. La prossima volta che lo guarderete, pensateci. Quel leone ha attraversato mezzo mondo prima di arrivare dove sta adesso. E probabilmente ha ancora qualche segreto da raccontare.

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