SCRRRR… È il suono più riconoscibile al mondo, dopo il pianto di un neonato. L’inconfondibile strappo che annuncia l’apertura di una chiusura a strappo con il Velcro. Attenzione, va scritto con la maiuscola, perché è un marchio registrato e il nome di un’azienda, ma ci arriviamo tra un attimo.

Questo rumore, infatti, è la colonna sonora di milioni di gesti quotidiani che compiamo senza pensarci. Lo troviamo sulle scarpe dei bambini, nelle tasche dei pantaloni cargo, nei portafogli e persino negli ospedali in mille strumenti e abbigliamenti diversi. Ma come ha fatto questo sistema apparentemente banale a conquistare prima il mondo della tecnologia e poi le nostre vite?

Un ingegnere, un cane e una passeggiata rivelazione

Tutto inizia nel 1941, quando l’ingegnere svizzero George de Mestral torna da una passeggiata sulle Alpi con il suo fedele quattrozampe. Invece di maledire i fastidiosi semi di bardana, che la natura ha racchiuso in un involucro rotondo coperto di piccoli ganci rigidi che funzionano come microscopici arpioni. Invece di maldirli, attaccati come sono ai pantaloni e al pelo del cane, de Mestral fa qualcosa di straordinario: li osserva al microscopio. Quello che vede è un sistema ingegnoso di minuscoli uncini che si aggrappano a qualsiasi superficie morbida o pelosa, creando un attacco tenace ma temporaneo. De Mestral capisce immediatamente che la natura ha risolto un problema e che lui potrebbe replicare artificialmente quella soluzione.

Ma dall’intuizione al prodotto finito passano otto lunghi anni. Il vero punto di svolta arriva quando de Mestral scopre che il nylon, riscaldato con luce a infrarossi, può assumere la forma di piccoli ganci rigidi che non perdono la loro forma. Creare la parte morbida con i “loop” dove si agganciano i microscopici uncini è più semplice, ma perfezionare il sistema richiede un altro anno intero per sviluppare un telaio che tagli i cicli dopo la tessitura, completando così il meccanismo di aggancio.

L’invenzione che doveva rivoluzionare la moda

Quando il Velcro sbarca negli Stati Uniti alla fine degli anni ’50, la giornalista Sylvia Porter lo presenta come “la cerniera senza cerniera“. Una innovazione fenomenale e soprattutto che funziona: “Il nuovo dispositivo di fissaggio è, sotto molti aspetti, potenzialmente più rivoluzionario di quanto non fosse la cerniera un quarto di secolo prima“, scriveva nel suo entusiasta articolo del 1958. I primi servizi sul Velcro ne sottolineavano la rumorosità, perché il rumore (SCRRR…) è davvero forte. Il New York Times arriva ad annunciare: “Il grande rumore di questa primavera sarà un suono simile a un tessuto che si strappa“.

Rotoli di Velcro
Rotoli di Velcro

Ma il destino riservava al Velcro un percorso diverso da quello immaginato. Invece di conquistare il mondo della moda come sostituto delle cerniere, trovò dapprima la sua strada in ambiti molto più funzionali e tecnici. Il grande salto di qualità arrivò quando la NASA decise di adottarlo per le tute spaziali, trasformando il Velcro da curiosità a componente essenziale dell’esplorazione spaziale (ancora oggi, se veramente abiteremo Marte, il Velcro giocherà un ruolo centrale).

Da Zurigo alla Luna in meno di trent’anni

Infatti, senza il Velcro, nel 1969 gli astronauti dell’Apollo 11 non avrebbero avuto tute funzionali per camminare sulla Luna. Il sistema di chiusura ha permesso loro di entrare e uscire da ingombranti tute spaziali con relativa facilità, fissare strumenti alla parete in assenza di gravità e persino grattarsi il naso all’interno del casco grazie a un piccolo pezzo di Velcro strategicamente posizionato. E il Velcro è diventata la chiusura di ordinanza per tutte le attività in orbita e nello spazio. Ogni Space Shuttle volava equipaggiato con oltre diecimila centimetri di un Velcro speciale fatto di anelli in Teflon, ganci in poliestere e supporto in vetro.

È curioso come, nonostante la NASA non abbia inventato il Velcro, molti ancora le attribuiscano erroneamente il merito. Questa associazione con lo spazio ha contribuito a creare un’aura tecnologica attorno a quello che, in fondo, è un’imitazione di semi naturalissimi e in realtà molto fastidiosi.

Dall’alta tecnologia all’anti-fashion

La grande contraddizione del Velcro, casomai, è il suo destino nel mondo della moda. Concepito per rivoluzionare l’abbigliamento, è diventato simbolo di scarpe per bambini e anziani, caricatura dell’anti-eleganza. Chi di noi non ha mai provato un neanche tanto leggero imbarazzo indossando scarpe con chiusura in Velcro dopo i sei anni?

Eppure, la sua utilità è innegabile. Solo recentemente, grazie a Nike con la sua linea EasyOn (precedentemente FlyEase), sviluppata dopo la lettera di un adolescente con paralisi cerebrale, si sta tentando di riabilitare l’immagine del Velcro come opzione di design inclusiva e persino alla moda. E oggi l’azienda Velcro, per difendere il suo marchio diventato ormai nome comune, ha persino creato video musicali ironici con “avvocati” cantanti che implorano di usare il termine generico “chiusura a gancio e asola“. Un tentativo divertente e disperato di proteggere un’invenzione che, come i suoi minuscoli ganci, si è attaccata indissolubilmente alla nostra cultura.

Ma in realtà la cosa più incredibile è che tutto è nato da una semplice camminata nei boschi con un cane. A volte, per fare la storia, basta saper guardare con gli occhi giusti ciò che ci dà fastidio.

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