C’era una volta Google, il motore di ricerca che aveva conquistato il mondo trasformando la pubblicità online in una macchina da soldi capace di generare 237,85 miliardi di dollari nel 2023, il 77,8% dei ricavi totali di Alphabet. Adesso, al Google I/O 2025 tenutosi tra il 20 e il 21 maggio a Mountain View, quella stessa azienda ha presentato un futuro dove la ricerca tradizionale è quasi scomparsa, sostituita da un’intelligenza artificiale che promette di fare tutto meglio. Il paradosso è servito: Google sta segando il ramo su cui è seduta, proprio come Amazon fece con il Kindle minacciando il business dei libri fisici.

Il dilemma che fa crollare gli imperi

Quello che colpisce Google/Alphabet è il dilemma dell’innovatore di Clayton Christensen. È il paradosso che uccide i giganti: le aziende di successo fanno tutto giusto (ascoltano i migliori clienti, massimizzano i profitti, perfezionano i prodotti esistenti) eppure proprio queste virtù le condannano. Quando emerge una nuova tecnologia “disruptive”, inizialmente poco profittevole, la ignorano perché non soddisfa gli standard del loro mercato. Ma quella tecnologia migliora esponenzialmente e conquista il mercato dal basso, lasciando i leader intrappolati in modelli di business ormai fossili.

Il dramma è che non esiste via d’uscita: ignorare l’innovazione significa morte lenta per irrilevanza, abbracciarla significa suicidarsi distruggendo i propri profitti. Kodak inventò la fotografia digitale e la seppellì per salvare la pellicola. Blockbuster rise di Netflix. Nokia sottovalutò l’iPhone. Oggi Google affronta lo stesso destino: l’AI generativa minaccia il 77% dei suoi ricavi dalla ricerca, ma ignorarla regalerebbe il futuro a OpenAI. È la trappola perfetta del capitalismo tecnologico: “Damned if you do, Damned if you don’t”.

La scommessa da 250 dollari al mese

A che punto si trova Google? L’annuncio più clamoroso dell’evento di Mountain View è stato il lancio di Google AI Ultra, un abbonamento premium da 249,99 dollari al mese che offre accesso illimitato alle tecnologie AI più avanzate dell’azienda. Un prezzo che fa impallidire i 19,99 dollari mensili dell’attuale Google One AI Premium, ma che segue la scia di OpenAI con il suo ChatGPT Pro da 200 dollari. La domanda viene facile: quanti utenti sono disposti a pagare cifre così elevate per servizi che fino a ieri erano gratuiti, seppur in forma diversa? E soprattutto, questi abbonamenti potranno mai generare profitti paragonabili a quelli della pubblicità online che per ogni dollaro speso in acquisizione traffico ne genera 4,6?

Piani di abbonamento AI

PianoPrezzoCaratteristiche principali
Google AI Pro$19,99/meseGemini Advanced, Veo 2, 2TB storage
Google AI Ultra$249,99/meseTutto di Pro + Veo 3, Deep Think, 30TB storage, YouTube Premium

L’offerta Ultra include Gemini 2.5 Pro con la modalità Deep Think per ricerche approfondite, il generatore video Veo 3, lo strumento di editing Flow e accesso privilegiato a NotebookLM. Ma anche Gemini Live per conversazioni vocali quasi in tempo reale, Project Astra per interazioni multimodali e 30 terabyte di storage cloud. Un pacchetto impressionante che però solleva interrogativi sulla sostenibilità economica: i costi computazionali dell’AI sono enormemente superiori a quelli di una semplice ricerca testuale: i 249,99 dollari non rischiano di non coprire le spese?

Il cuore del paradosso economico

Per capire meglio, vediamo un po’ di numeri: nel secontro trimestre fiscale del 2024 Google ha registrato ricavi totali per 84,74 miliardi di dollari, di cui 64,62 miliardi (76,3%) provenienti dalla pubblicità. Google Cloud, nonostante una crescita del 30% anno su anno, rappresenta ancora solo il 10,8% dei ricavi totali, in aumento dal 4,3% del 2018. Secondo gli analisi, non è in attivo. Le valutazioni sono impietose: per sostituire i profitti della ricerca pubblicitaria, Google dovrebbe vendere milioni di abbonamenti Ultra o trovare un modo per monetizzare l’AI con margini simili a quelli attuali. Un’impresa quasi impossibile, considerando la posta in gioco: rinunciare a una montagna di proventi pubblicitari. Google controlla oltre il 72% della spesa pubblicitaria sui motori di ricerca nei soli Stati Uniti, un dominio quasi monopolistico difficilmente replicabile nel frammentato mercato dell’AI generativa.

Distribuzione dei ricavi di Google per segmento di business dal 2017 al 2024 (Fonte: Statista.com)
Distribuzione dei ricavi di Google per segmento di business dal 2017 al 2024 (Fonte: Statista.com)

La maggior parte dei soldi che entrano in cassa a Mountain View seguono un percorso molto semplice. Un modello di business tradizionale. Google offre servizi gratuiti di altissima qualità che attirano miliardi di utenti, per poi vendere la loro attenzione agli inserzionisti. Con l’AI, questo modello vacilla: i costi sono più alti, l’esperienza utente non prevede necessariamente la visualizzazione di annunci e la concorrenza è agguerrita. OpenAI, Anthropic, Meta e decine di startup (senza contare Apple e Microsoft) stanno già erodendo quote di mercato in un settore dove il vantaggio competitivo è molto più volatile.

L’AI che divora i suoi creatori

Tuttavia, l’intelligenza artificiale sembra essere ineludibile. Google è condannata a un futuro inevitabile? Al Google I/O 2025 l’intelligenza artificiale ha invaso ogni aspetto dell’ecosistema di Alphabet: da Android a Workspace, passando per Chrome e Maps. Gemini non è più solo un assistente, ma il motore che alimenta tutto. Veo 3 genera video con effetti sonori e dialoghi, Imagen 4 crea immagini dieci volte più velocemente del predecessore, mentre strumenti come Lyria RealTime producono musica in tempo reale. Una dimostrazione di forza tecnologica impressionante che però nasconde un’inquietante verità: ogni prompt processato da questi modelli costa molto di più di una semplice ricerca tradizionale in termini di energia, potenza di calcolo, impatto ambientale.

Le principali novità di Google I/O 2025

CategoriaProdotto/ServizioCosa faPrezzo/Disponibilità
AI PremiumGemini UltraAbbonamento VIP con accesso illimitato a tutte le AI di Google$249,99/mese (solo USA per ora)
AI ReasoningDeep Think ModeModalità di ragionamento avanzata che valuta più opzioni prima di rispondereIncluso in Gemini Ultra
Video AIVeo 3Genera video con audio, dialoghi ed effetti sonori da testo/immaginiPer abbonati Ultra
Editing VideoFlowStrumento AI per il filmmaking con controllo camera e transizioniIncluso in AI Ultra/Pro
Immagini AIImagen 4Generatore immagini 10x più veloce, stili realistici e astrattiDisponibile per abbonati
AI ConversazionaleGemini LiveChat vocale in tempo reale con integrazione Maps, Calendar, TasksPresto su iOS e Android
AI MultimodaleProject AstraBase tecnologica per interazioni AI contestuali audio/video/testoIn sviluppo
AI MobileGemma 3Modello ottimizzato per dispositivi mobili (audio, testo, immagini, video)Per sviluppatori
Sicurezza AISynthIDStrumento per identificare contenuti generati dall’AIIn roll-out
Musica AILyria RealTimeModello per produzione musicale in tempo realePer creativi
ProduttivitàWorkspace AINuove funzioni AI in Gmail, Docs e Google VidsPer abbonati Workspace
SviluppatoriAndroid Studio AIStrumento “Journeys” e modalità agentiche per sviluppo assistitoPer sviluppatori
VideoconferenzeBeam 3DVideoconferenze 3D con traduzione vocale AI in tempo realeIn fase di test
WearablesWear OS 6Nuovo font unificato, maggiore personalizzazione appIn arrivo
HardwarePixel 9Smartphone ottimizzato per sfruttare tutte le novità AIDisponibile

La difesa di Google qual è? La strategia di integrazione verticale è evidente: Google sta usando Android, Chrome e l’intero ecosistema Workspace come dei bastioni per mantenere gli utenti all’interno del proprio giardino recintato. Proprio come vogliono fare Meta, Microsoft e Apple. Ma funzionerà? La storia insegna che i cambi di paradigma tecnologico spesso ridistribuiscono le carte, e chi vinceva prima può trovarsi con una pessima mano: IBM dominava i mainframe ma perse il treno dei PC, Microsoft controllava i desktop ma arrivò tardi sul mobile. Google rischia di subire lo stesso destino proprio mentre cerca di reinventarsi.

Il futuro incerto di un gigante

A questo punto, volendo sintetizzare al massimo, la situazione è molto semplice, ma per niente facile. Sundar Pichai, il numero uno di Alphabet, si trova di fronte al dilemma dell’innovatore teorizzato dal professore di Harvard Clayton Christensen nel 1997: evolversi rischiando di distruggere il proprio core business, oppure rimanere fermi e vedere altri conquistare il futuro? In realtà, dopo le presentazioni della Google I/O la scelta sembra fatta: Google sta puntando tutto sull’AI anche a costo di cannibalizzare la gallina dalle uova d’oro della ricerca pubblicitaria. Tuttavia, la transizione rischia di essere tutt’altro che indolore: i margini di profitto potrebbero comprimersi significativamente nei prossimi anni, mentre l’azienda cercherà di trovare un nuovo equilibrio.

Il paradosso di Google ricorda quello di tante altre aziende del passato: imprese che vedevano arrivare il futuro ma non riuscivano a immaginare come monetizzarlo senza distruggere il presente. La differenza è che Google è una delle poche ad avere le risorse finanziarie e tecnologiche per tentare questa transizione epocale. Resta da vedere se basteranno per trasformare un motore di ricerca in qualcosa di completamente diverso, mantenendo al contempo la leadership e la redditività che l’hanno resa una delle aziende più ricche al mondo.

Ma c’è un’ultima incognita, che grava su questa operazione: l’antitrust americano che sta valutando se obbligare Google a scorporare il browser Chrome dal resto dell’azienda, vendendolo a qualcuno dei suoi concorrenti. Infatti, il Dipartimento di giustizia americano, nel suo processo antitrust contro Google, ha proposto come rimedio alla posizione di dominio sul mercato lo scorporo del browser più utilizzato al mondo dal gigante di Mountain View. L’obiettivo dell’antitrust americano è spezzare quello che viene considerato un monopolio illegale nel settore delle ricerche online, costruito anche grazie agli accordi di preinstallazione che rendono Chrome e il motore di ricerca Google onnipresenti sui dispositivi. Tuttavia, il rischio più grande per Google è che venga a mancare uno dei pilastri fondamentali alla sua strategia di penetrazione dell’AI, strettamente legata al browser di Mountain View. Vedremo presto se sarà così.

Alcune fonti di questo articolo: