Dopo il trionfo del reboot “Goldrake U” di gennaio, che ha conquistato oltre un milione di spettatori in prima serata, Rai 2 rilancia con un colpo da maestro: dall’8 settembre 2025, alle 8 del mattino dal lunedì al venerdì, torna la serie originale di UFO Robot Goldrake in versione restaurata. Un ritorno che sa di rivoluzione per chi c’era e di scoperta per chi non c’era ancora, perché questo non è solo un cartone animato: è il pezzo di storia che ha aperto l’Italia al fascino dell’animazione giapponese.
Il grande ritorno: quando la nostalgia incontra la qualità
La scelta di riportare in onda tutti i 74 episodi originali del 1975-1977 non è casuale. Dopo il successo di ascolti ottenuto da Goldrake U, la Rai aveva annunciato già lo scorso giugno che avrebbe trasmesso la serie animata originale in versione restaurata. L’appuntamento mattutino alle 8 inserisce Goldrake in una fascia dedicata ai cartoni animati che partirà alle 6.50, accanto a Winx, Peanuts e Puffi.
Una programmazione che strizza l’occhio alle famiglie (è l’orario della colazione ma anche di chi va a scuola con i mezzi e se lo guarda sullo smartphone, o su RaiClick) e che punta a far incontrare generazioni diverse davanti allo stesso schermo. La versione restaurata promette una qualità tecnica mai vista prima per la serie, con immagini ripulite e audio migliorato che renderanno giustizia al capolavoro di Go Nagai.
L’impatto storico: quando l’Italia scoprì un nuovo mondo
Era il 4 aprile 1978, ore 18.45, quando Rai 2 mandò in onda il primo episodio di quello che allora si chiamava semplicemente “un cartone giapponese”. In realtà, UFO Robot Goldrake era molto di più: il primo anime con i robottoni trasmesso in Italia dalla televisione pubblica, l’apripista di una rivoluzione culturale che avrebbe cambiato per sempre il panorama dell’intrattenimento.

La serie segnò ufficialmente l’inizio della prima grande stagione dell’animazione giapponese nel nostro Paese, dando vita a quello che gli esperti definiscono “anime boom”. I numeri parlano chiaro: se si prendono solo le sigle italiane “Ufo Robot” e “Goldrake”, firmate da Luigi Albertelli e messe in musica da Vincenzo Tempera, vendettero oltre un milione di copie. Una febbre collettiva che contagiò l’Italia intera, dalle elementari alle superiori.
Il fenomeno culturale: molto più di un robottone
Goldrake non conquistò solo i bambini: divenne un caso sociologico che spaccò l’opinione pubblica. Dario Fo lo criticò aspramente, vedendovi una “polarizzazione netta tra bene e male”. Altri intellettuali lo difesero come “mito moderno”, un racconto epico che attingeva ai poemi cavallereschi. Ma al di là delle polemiche, l’impatto fu devastante: l’interesse del pubblico più giovane verso il linguaggio dell’animazione giapponese, unito al moltiplicarsi delle tv private, segnò l’inizio dell’importazione massiccia di serie nipponiche e della grande storia d’amore dell’Italia verso la cultura pop giapponese.
Il merchandising esplose in maniera inedita, mentre Goldrake diventava ponte culturale tra Oriente e Occidente. Non c’era famiglia, praticamente non c’era bambino, alla fine degli anni Settanta, che non avesse almeno un album di disegni fatti da autori italiani ricalcando lo stile e i personaggi giapponesi, oppure un Goldrake di plastica o di latta (oggi valgono un sacco di soldi).
I segreti e le curiosità: quello che forse non sapevate
Il nome “Goldrake” non esiste in giapponese: l’originale si chiama “Grendizer“. Fu il produttore francese Jacques Canestrier a cambiarlo in “Goldorak”, combinando Goldfinger e Mandrake per renderlo più accattivante. L’adattamento italiano mantenne questa scelta. E il nome “Atlas UFO Robot” è figlio di una cattiva interpretazione del dossier preparato dal distributore francese e visionati dagli acquirenti italiani della serie per conto della Rai.
Ma chi era Goldrake? Go Nagai lo concepì come terzo capitolo della sua trilogia robotica, dopo Mazinga Z e Il Grande Mazinga, creando un universo narrativo interconnesso. Praticamente come il Marvel Cinematic Universe, solo quarant’anni prima. La storia di Duke Fleed, principe del pianeta Fleed che sulla Terra diventa Actarus per combattere le forze di Vega, attinge ai miti cavallereschi dell’eroe esule che difende la sua nuova patria.

La colonna sonora venne interpretata da Romano Malaspina con arrangiamenti unici. In nessun altro paese Goldrake ebbe un successo paragonabile a quello italiano e francese. Un dettaglio tecnico: la serie fu prodotta dalla Toei Animation con un budget superiore ai precedenti robot anime, investendo in animazioni più fluide e design più dettagliati. All’epoca in Italia molti giornali sostennero che invece era stata disegnata in Giappone “con il computer” e non da artisti come quelli dei cartoni animati Disney o Hanna-Barbera.
Il cerchio che si chiude
Il ritorno della serie originale dopo il successo del reboot rappresenta una strategia vincente per Rai 2. Il reboot di gennaio ha ottenuto 1 milione e 87 mila spettatori con il 5,1% di share, un risultato che la Rai definisce positivo e inaspettato. Ora, con la versione restaurata dell’originale, la rete punta a consolidare questo successo offrendo l’esperienza completa: 74 episodi che raccontano l’intera saga senza tagli né censure.
Per chi c’era, sarà un tuffo nella memoria collettiva italiana. Per chi non c’era, la scoperta di cosa significhi davvero gridare “Alabarda spaziale!” e capire perché Goldrake non è mai stato solo un cartone, ma un pezzo della nostra storia culturale.