Pensavate che quel video virale fosse davvero così popolare? E che quel prodotto su Amazon avesse davvero migliaia di recensioni entusiaste? La realtà del web è molto più artificiale di quanto immaginiamo: secondo un rapporto di una società di cybersecurity, l’11,3% del traffico online è falso o fraudolento. Un dato che porta dritto alle “click farm”, le “fabbriche di like” che dalla Cina si sono diffuse in tutto il Sud-est asiatico, ma anche ad altri tipi di “farm” dove si falsificano contenuti e collegamenti web.
Cosa sono le “fabbriche dei click”
“Click farm” è una espressione inglese: “farm” in questo senso vuol dire fattoria di grandi dimensioni, ma in italiano esprimere una idea di questo tipo si usa il termine “fabbrica”, perché nella nostra lingua indica meglio l’attività industrializzata su larga scala. Le “fabbriche di click” sono le prime, le più vecchie (relativamente) e quelle che stanno vivendo in questi mesi una profonda trasformazione. Se fino a poco tempo fa erano enormi capannoni pieni di lavoratori sottopagati che cliccavano manualmente su smartphone allineati, oggi l’automazione sta prendendo il sopravvento. I telefoni ci sono ancora, ma vengono “spogliati” e ridotti alle loro schede madri, impilate a decine in cassetti che sembrano server di un data center.

Basta un piccolo appartamento in periferia, i rack con le schede madri dei telefoni e tre o quattro operatori che si danno i turni per creare un traffico di click enorme che una volta avrebbe richiesto un’organizzazione molto grande.
Il business è semplice quanto redditizio: generare artificialmente grandi quantità di interazioni sui social media e siti web. Like, follower, visualizzazioni, click sugli annunci pubblicitari, download di app, recensioni positive: tutto può essere falsificato. E tutto ha un prezzo, decisamente più basso di quello delle interazioni organiche.
Ma perché le aziende si rivolgono alle clickfarm? La risposta sta nei numeri della rete. Con miliardi di contenuti che competono per l’attenzione, la visibilità è diventata una merce preziosa. Un’app con più download sale nelle classifiche degli store digitali. Un prodotto con più recensioni positive vende di più. Un influencer con più follower attira più sponsor.
L’esportazione delle click farm
La tecnologia ha reso tutto più efficiente. Un singolo operatore può oggi gestire migliaia di dispositivi grazie a script automatizzati e, sempre più spesso, all’intelligenza artificiale. I sistemi sono progettati per simulare comportamenti umani credibili, rendendo sempre più difficile distinguere il traffico reale da quello artificiale. La “Click Lady”, diventata virale sui social tempo addietro per la sua abilità nel gestire decine di telefoni contemporaneamente, sembra già un reperto archeologico.

La legalità di queste operazioni resta in una zona grigia. Nel 2020 la Cina ha vietato l’uso delle clickfarm per scopi commerciali, ma l’attività si è semplicemente spostata in altri paesi del Sud-est asiatico dove la regolamentazione è più lasca. Le piattaforme social cercano di individuare e penalizzare le interazioni artificiali, ma è una battaglia in continua evoluzione.
Come si distingue il vero dal falso click?
L’impatto di questo fenomeno va ben oltre il danno economico agli inserzionisti (che comunque è di centinaia di milioni di euro nel mondo). Infatti, le clickfarm fanno molto peggio: distorcono la nostra percezione della realtà online, creando consensi artificiali e influenzando le scelte dei consumatori. Un prodotto mediocre può sembrare eccellente, un’opinione marginale può apparire maggioritaria, una notizia falsa può sembrare credibile. Non creano, ma amplificano. Non inventano, ma supportano.
La vera domanda è: come distinguere il vero dal falso in un web dove le interazioni artificiali sono ormai la norma? Le piattaforme stanno investendo in sistemi sempre più sofisticati per individuare il traffico fraudolento, ma è una corsa agli armamenti tecnologica senza fine. Gli operatori delle clickfarm rispondono con tecniche sempre più raffinate, in un ciclo che sembra destinato a continuare a lungo. L’interesse economico c’è, e quindi c’è l’incentivo per qualche malintenzionato a provare a superare filtri di controllo e barriere, per automatizzare queste fabbriche del finto consenso.
Anche per questo quando vediamo un contenuto virale o un prodotto con migliaia di recensioni entusiaste, dovremmo ricordarci che probabilmente una buona parte di quelle interazioni potrebbero essere artificiali. In un mondo di click programmati e like automatici, il valore dell’autenticità diventa più prezioso che mai.

Non è finita però
Non ci sono solo le Click Farm, ma anche altri tipi di “farm” dove si costruiscono tonnellate di falsificazioni. Due soprattutto: il primo sono le link farm, cioè con la stessa impostazione delle clickfarm ma fanno una cosa diversa: creano centinaia di siti posticci e poi fanno link da uno all’altro per rendere determinati siti più popolari sui motori di ricerca.
Infatti, gli algoritmi dei motori di ricerca come Google preferiscono siti che sono stati linkati da molti altri siti e gli assegnano un ranking migliore, cioè li fanno comparire subito nei risultati di ricerca. Questa è una forma di spam dei risultati delle ricerche che viene chiamata spamdexing
Il secondo tipo sono le content farm, cioè i posti dove si producono migliaia di pagine di contenuti testuali, scritti non da persone ma soprattutto da sistemi automatici. Sono contenuti più o meno decenti, fatti apposta per aumentare la visiblità SEO e far venir fuori il sito nei motori di ricerca, generando traffico e quindi fatturato dei click della pubblicità. Con l’AI che genera contenuti come se non ci fosse un domani questo settore sta esplodendo.