Nel mercato delle promesse digitali esiste un angolo particolare dedicato ai caratteri tipografici che dovrebbero aiutare chi soffre di dislessia. Dyslexie, OpenDyslexic, EasyReading: nomi che evocano soluzioni immediate a un problema complesso. La loro diffusione nelle scuole e tra le famiglie è costante, supportata da campagne marketing che parlano di lettere “appesantite alla base” per evitare confusioni e rotazioni. Peccato che la scienza racconti una storia completamente diversa. Siamo andati a vedere cosa dicono i ricercatori al riguardo, per capire se vale davvero la pena investire in un sistema con caratteri tipografici speciali oppure no.
Facciamo subito spoiler: la letteratura scientifica disponibile smonta sistematicamente le basi teoriche di questi caratteri speciali. Studi condotti su centinaia di bambini, sia con dislessia che senza, mostrano come questi font non migliorino né la velocità né l’accuratezza della lettura rispetto a caratteri standard come Arial o Times New Roman. Anzi, in alcuni casi i risultati peggiorano. I partecipanti agli esperimenti, quando interpellati, tendono a preferire i font tradizionali a quelli specificamente disegnati per loro.
Il caso più clamoroso riguarda OpenDyslexic, un carattere open source che promette di impedire alle lettere di capovolgersi grazie a linee più spesse nella parte inferiore. Uno studio del 2017 ha testato questa ipotesi su bambini con dislessia scoprendo che il font non solo non migliora le prestazioni, ma le peggiora. Nessuno dei bambini ha manifestato preferenza per OpenDyslexic, un risultato sorprendente per un carattere progettato specificamente per loro.
Le basi sono traballanti
Il problema fondamentale risiede nelle premesse teoriche. Questi font nascono dall’idea errata che la dislessia sia principalmente un disturbo visivo, quando invece la ricerca neuroscientifica ha dimostrato che si tratta di una difficoltà nell’elaborazione del linguaggio. Le lettere non si capovolgono nella mente dei dislessici come sostengono i produttori di questi caratteri. La confusione tra lettere come la b e la d deriva da meccanismi cognitivi molto più complessi che un carattere tipografico non può risolvere.

Anche Dyslexie, un font a pagamento molto diffuso nelle scuole europee, non regge al vaglio scientifico. Una ricerca del 2018 ha confrontato questo carattere con Arial e Times New Roman non trovando alcun beneficio in termini di accuratezza o velocità di lettura. I bambini coinvolti nello studio hanno espresso una chiara preferenza per i font tradizionali, bocciando quello sviluppato appositamente per facilitare la loro lettura. Gli autori della ricerca concludono senza mezzi termini che Dyslexie non ha l’effetto desiderato.
Gli sviluppatori di questi caratteri cercano di fornire basi scientifiche ai loro prodotti, ma le fonti citate si rivelano spesso inconsistenti. Il sito di OpenDyslexic, ad esempio, presenta una pagina dedicata alla ricerca correlata dove tre dei quattro articoli linkati risultano irreperibili. L’unico studio accessibile analizza solo la spaziatura tra le lettere, non il font stesso. Quando si recuperano i link corretti agli altri articoli, si scopre che studiano caratteri completamente diversi come Verdana, Arial e Georgia.
La situazione dei font per dislessia
| Aspetto | Descrizione | Evidenze Principali |
|---|---|---|
| Risultati Effettivi | Nessun beneficio significativo in velocità, accuratezza o comprensione per dislessici o lettori tipici; preferenze spesso per font standard (Arial, Times). | Studi su 200+ bambini mostrano zero differenze tra test veri e di controllo; ad esempio OpenDyslexic non cambia la lettura. |
| Ipotesi Scientifiche | Forma lettere “pesata” in basso riduce confusione b/d-p/q o rotazioni; maggiore spaziatura aiuta leggibilità generale. | Ipotesi non supportata: gli effetti sono attribuiti a dimensioni e spaziatura, non design anti-dislessia; non c’è una base neuroscientifica robusta. |
| Studi Contrastanti | EasyReading™ mostra + fluidità in 533 bambini italiani (da 10% a 5% casi clinici). | Outlier isolato; meta-analisi e review (2017-2022) confermano inefficacia prevalente. |
| Raccomandazioni | Sempre priorità a training fonologico; usare sans-serif chiari (Arial 12pt+), spaziatura ampia, righe brevi. | Testare preferenze individuali; evitare endorsement universali per font “speciali”. |
Ma chi è dislessico?
In Italia, circa il 3-4% della popolazione scolastica è dislessico, con circa 350mila studenti coinvolti, ma la stima totale dei casi nella popolazione generale varia (circa 2-3 milioni in Italia), e la dislessia continua a manifestarsi in età adulta, sia negli uomini che nelle donne in modo simile, sebbene i maschi siano stati storicamente segnalati di più a scuola.
L’incidenza maggiore si registra nelle età scolare (specialmente in primaria e secondaria) soprattutto per via dell’attenzione da parte degli insegnanti e il tipo di attività richieste ai bambini (lo studio e le verifiche), che poi nella vita adulta sono più difficili da diagnosticare perché non più coinvolti in un ciclo di formazione sorvegliato.
Inoltre, la presenza nella popolazione della dislessia (uno dei principali disturbi specifici dell’apprendimento, assieme a disortografia, disgrafia e discalculia) e può variare demograficamente, con dati più elevati in alcune regioni del Nord, mentre negli adulti la prevalenza scende al 4% circa, ma rimane un disturbo persistente.
Un’eccezione che conferma la regola
Esiste un outlier nel panorama della ricerca. Uno studio italiano condotto su 533 bambini di quarta elementare ha riportato miglioramenti con EasyReading rispetto a Times New Roman. La percentuale di performance clinicamente problematiche nei dislessici scende dal 10,1 per cento al 5,1 per cento. Tuttavia, questo risultato resta isolato nel panorama della ricerca internazionale. Le meta-analisi e le revisioni sistematiche degli ultimi anni confermano invece l’inefficacia prevalente di questi strumenti.
La maggior parte degli studiosi attribuisce eventuali benefici minimi non alla forma specifica delle lettere, ma a fattori accessori come la spaziatura maggiore o le dimensioni più generose dei caratteri. Elementi che potrebbero essere applicati a qualsiasi font tradizionale senza bisogno di ricorrere a soluzioni specializzate. Il problema è che vendere una spaziatura più ampia non ha lo stesso appeal commerciale di un font “rivoluzionario”.
Le preferenze individuali giocano un ruolo importante. Alcuni dislessici dichiarano di trovarsi meglio con questi caratteri speciali, ma questo fenomeno potrebbe essere spiegato da un effetto placebo o dalla novità dello stimolo. Altri riferiscono di trovarli più difficili da leggere. L’assenza di un pattern univoco suggerisce che non esista una soluzione tipografica universale per la dislessia.
Cosa funziona davvero
Le associazioni professionali e i ricercatori convergono su raccomandazioni pratiche molto diverse dalla vendita di font speciali. La priorità assoluta va data a interventi basati su evidenze scientifiche solide, come il training fonologico che aiuta a sviluppare le competenze di decodifica del linguaggio. Questo tipo di approccio affronta il problema alla radice invece di inseguire soluzioni di superficie.
Per quanto riguarda la presentazione dei testi, le indicazioni che emergono dagli studi sono relativamente semplici. Utilizzare font sans-serif chiari come Arial, con dimensioni di almeno dodici punti e spaziatura ampia tra le righe. Righe di testo brevi per facilitare il tracciamento visivo. Niente di rivoluzionario, niente di costoso. La British Dyslexia Association suggerisce questi accorgimenti senza però dare endorsement specifici a font dichiaratamente “dislessia-friendly”.
Il rischio maggiore di questi caratteri speciali sta nel creare false aspettative. Famiglie e insegnanti potrebbero credere di aver risolto il problema semplicemente cambiando font, trascurando interventi più efficaci ma che richiedono tempo e risorse. La dislessia è una condizione complessa che necessita di supporto strutturato e multidisciplinare. Un carattere tipografico, per quanto ben disegnato, non può sostituire questo lavoro. Le preferenze individuali vanno rispettate, ma non possono diventare la base per raccomandazioni universali fondate su presupposti pseudoscientifici.
Alcune fonti di questo articolo:
- https://link.springer.com/article/10.1007/s11881-016-0127-1
- https://link.springer.com/article/10.1007/s11881-017-0154-6
- https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC5977080/
- https://d-nb.info/1151792292/34
- https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC5934461/
- https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/26993270/
- https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/10790195.2021.1986430
- https://www.tayjournal.com/makale/3739
- https://pimpmytype.com/dyslexia-fonts/
- https://pmc.ncbi.nlm.nih.gov/articles/PMC7188700/
- https://www.shanahanonliteracy.com/blog/what-about-special-fonts-for-kids-with-dyslexia-or-other-reading-problems
- https://dergipark.org.tr/en/download/article-file/2570083

