In Italia circa il 20% dei giovani della Generazione Z ha usato almeno una volta l’intelligenza artificiale come sostituto della terapia. Questo dato, uno su cinque, stimato dal professor Mattia Della Rocca dell’Università di Tor Vergata, evidenzia una tendenza in crescita tra adolescenti e giovani adulti. I chatbot come ChatGPT offrono risposte immediate a chi cerca supporto per ansia, stress o problemi relazionali. La possibilità di aprirsi senza timore di giudizi, unita alla disponibilità costante e alla gratuità del servizio, rappresenta un forte richiamo.

Le ricerche mostrano che questi sistemi di intelligenza artificiale possono offrire un supporto emotivo basico attraverso tecniche come l’ascolto riflessivo. I chatbot sono infatti programmati per analizzare i messaggi ricevuti e rispondere con frasi che simulano empatia e comprensione. Alcuni studi hanno rilevato che le risposte generate da questi sistemi raggiungono un buon livello di accuratezza quando si tratta di fornire informazioni generiche sulla salute mentale. L’AI riesce anche a proporre strategie di base per affrontare stress e piccoli disagi quotidiani.

I limiti fondamentali

Non ci sbagliamo, però: l’AI non sostituisce lo psicologo. Nonostante questi aspetti positivi, l’intelligenza artificiale presenta limiti invalicabili come strumento terapeutico. Manca completamente la comunicazione non verbale, elemento cruciale nella terapia tradizionale. Gesti, pause, espressioni facciali e tono della voce sono componenti essenziali che un chatbot non può percepire né utilizzare. L’AI non possiede una reale comprensione delle emozioni umane (è un algoritmo, non una persona!), ma si limita a elaborare dati e schemi linguistici.

Un altro limite importante riguarda la gestione di situazioni complesse o potenzialmente pericolose. L’intelligenza artificiale non è addestrata per riconoscere e affrontare adeguatamente crisi acute come pensieri suicidi o episodi psicotici. Non dispone della sensibilità clinica necessaria per identificare segnali sottili che potrebbero indicare un peggioramento della condizione psicologica. Le sue risposte, per quanto articolate, seguono modelli prestabiliti che non possono adattarsi completamente alle specifiche esigenze individuali.

Ogni persona è unica, con un vissuto personale irripetibile. L’AI tende invece a standardizzare le risposte basandosi su modelli generali, senza cogliere le infinite sfumature dell’esperienza umana. Ciò che manca fondamentalmente all’intelligenza artificiale è proprio l’esperienza vissuta, la consapevolezza corporea e quella comprensione profonda che deriva dall’essere umani.

Rischi e opportunità

Ci sono anche altri problemi che possono emergere se si usa un ChatBot come psicologo. Intanto, esiste anche il rischio di sviluppare una dipendenza dal supporto artificiale. La disponibilità costante dell’AI può portare a una relazione che non promuove l’autonomia della persona. Un percorso terapeutico efficace dovrebbe invece guidare gradualmente verso l’indipendenza e l’autosufficienza. Il confronto continuo con un’entità che fornisce risposte immediate potrebbe paradossalmente aumentare l’insicurezza e il bisogno di rassicurazioni esterne.

Invece, la maggior parte degli esperti concorda sul fatto che l’intelligenza artificiale possa rappresentare uno strumento complementare, non un sostituto della terapia umana. L’AI può aiutare a monitorare il benessere quotidiano o fornire supporto tra una seduta e l’altra. Può essere utile per la psicoeducazione, aiutando a comprendere meglio determinati concetti legati alla salute mentale. L’utilità maggiore si manifesta quando questi strumenti vengono integrati in un percorso seguito da professionisti qualificati.

Tuttavia, l’uso dell’AI aumenta, e questo ha un preciso significato. Infatti, il crescente utilizzo dell’AI come supporto psicologico informale evidenzia una carenza nei servizi di salute mentale accessibili. Molti giovani si rivolgono a questi strumenti anche per mancanza di alternative economicamente sostenibili. La risposta più efficace consisterebbe nel potenziare i servizi pubblici, come lo psicologo scolastico o lo psicologo di base, rendendo il supporto professionale alla portata di tutti.

Gli è venuta così: un’immagine fatta direttamente dall’AI, senza prompt, per illustrare questo articolo (un po’ ha copiato da quella di apertura, però)

Verso il futuro

Se c’è la possibilità di usare qualcosa di potenzialmente utile la cosa migliore da fare è imparare come si fa a usarla in maniera responsabile e utile. In quest’ottica, la sfida educativa diventa centrale per un uso consapevole di queste tecnologie. Le scuole, ad esempio, potrebbero integrare nei programmi elementi di alfabetizzazione digitale che includano informazioni sull’utilizzo appropriato dell’intelligenza artificiale. È importante imparare fin da piccoli le potenzialità di questi strumenti, ma anche i loro limiti intrinseci. La tecnologia dovrebbe essere vista come uno strumento di supporto, non come sostituto delle relazioni umane.

Nel futuro prossimo, vedremo probabilmente chatbot sempre più sofisticati specificamente progettati per il supporto psicologico. I modelli futuri potrebbero integrare meglio le conoscenze cliniche e adattarsi con maggiore precisione alle esigenze individuali. Alcune applicazioni stanno già sperimentando l’integrazione tra supporto automatizzato e supervisione professionale, creando un modello ibrido che potrebbe rappresentare un’evoluzione interessante.

L’intelligenza artificiale come assistente psicologico rappresenta quindi una realtà emergente con potenzialità e limiti ben definiti. Non sostituirà mai completamente il rapporto umano, ma potrebbe ampliare l’accesso a forme basilari di supporto. L’empatia autentica, la comprensione profonda e la capacità di costruire una relazione terapeutica significativa rimangono esclusivamente umane. Il valore della connessione interpersonale, con tutte le sue complessità e imperfezioni, resta il cuore insostituibile di qualsiasi percorso di crescita personale.


Importante: dove chiedere aiuto

Se sei in una situazione di emergenza, chiama il 118. Se tu o qualcuno che conosci ha dei pensieri suicidi, puoi chiamare il Telefono Amico allo 199 284 284 oppure via internet, tutti i giorni dalle 10 alle 24.

Puoi anche chiamare l’associazione Samaritans al numero verde gratuito 800 86 00 22 da telefono fisso o al 06 77208977 da cellulare, tutti i giorni dalle 13 alle 22.

Alcune fonti di questo articolo: