Le microplastiche, frammenti di dimensioni inferiori a 5 mm, sono ormai onnipresenti nell’ambiente e sollevano interrogativi sulla nostra salute. Il tema è tornato di attualità grazie agli studi dell’Università del New Mexico, che hanno misurato la concentrazione in media di questi materiali nel cervello umano: una quantità equivalente a cinque tappi di bottiglietta di plastica. Che si tratti di particelle generate dall’usura degli pneumatici o dal lavaggio di tessuti sintetici, le microplastiche sono entrate anche nella nostra quotidianità. Il punto è capire come interagiscono con il nostro corpo e quali conseguenze possono avere nel lungo periodo.

Proviamo a orientarci in questo argomento e trovare alcune coordinate di base basate sulle evidenze della ricerca scientifica. Cominciamo dicendo di che cosa stiamo parlando quando parliamo di microplastiche.

Infatti, è particolarmente interessante la distinzione tra microplastiche primarie, prodotte intenzionalmente in queste dimensioni, e secondarie, derivanti dalla degradazione di oggetti più grandi. Dalle bottiglie abbandonate ai cosmetici con “microbeads” (minuscoli pezzetti di plastica aggiunti a molti di prodotti, tra cui cosmetici e prodotti per la cura personale e la pulizia, per le loro proprietà esfolianti o abrasive), le fonti sono molteplici e spesso insospettabili (trovate come al solito tutti i link ai dati di questo articolo alla fine). Il lavaggio di indumenti sintetici rappresenta da solo il 35% del rilascio di microplastiche primarie nell’ambiente. Anche gli pneumatici delle auto, consumandosi sull’asfalto, generano particelle che finiscono nell’aria che respiriamo e nei corsi d’acqua. La degradazione dei rifiuti plastici abbandonati costituisce tra il 68 e l’81% delle microplastiche oceaniche.

Da dove vengono le microplastiche

FonteTipoContributo stimatoNote
Lavaggio tessuti sinteticiPrimaria35% delle microplastiche primarieRilascio di fibre durante il lavaggio di capi in poliestere, nylon e acrilico
Abrasione pneumaticiPrimaria28% delle microplastiche primarieParticelle generate dall’usura durante la guida
CosmeticiPrimaria2% delle microplastiche primarieMicrobeads in scrub, skin care e altri prodotti esfolianti
Rifiuti plastici abbandonatiSecondaria68-81% delle microplastiche oceanicheFrammentazione di oggetti in plastica come bottiglie, sacchetti e imballaggi
Degradazione ambientaleSecondariaSignificativaPlastica esposta a vento, onde e luce solare che si frammenta gradualmente
Impianti di depurazioneMistaVariabileMicroplastiche nelle acque reflue non completamente filtrate dai depuratori
Prodotti monousoSecondariaIn crescitaImballaggi, contenitori alimentari, posate che degradano nell’ambiente
Abbigliamento in usoPrimariaSignificativaFibre rilasciate durante l’uso quotidiano di indumenti sintetici

Dalla tavola al cervello

Le ricerche più recenti hanno rilevato la presenza di microplastiche in diversi organi umani, dal sangue al fegato, fino ai tessuti cerebrali. Lo studio dell’Università del New Mexico ha evidenziato che i campioni di cervello del 2024 contenevano circa il 50% in più di microplastiche rispetto a quelli del 2016. L’equivalente di cinque tappi di bottiglia per cervello, secondo i ricercatori. Queste particelle entrano nel corpo principalmente attraverso ciò che mangiamo e beviamo, ma anche attraverso l’aria che respiriamo. Alcuni studi hanno identificato microplastiche persino nella placenta, sollevando interrogativi sui possibili effetti sullo sviluppo fetale.

Un dato particolarmente significativo riguarda la maggiore concentrazione di microplastiche nei cervelli di persone con demenza, sebbene non sia ancora chiaro se si tratti di causa o effetto. I ricercatori ipotizzano che nei cervelli di questi pazienti la barriera ematoencefalica sia più permeabile. Le microplastiche più piccole, nell’ordine dei nanometri, sono quelle che destano maggiore preoccupazione perché capaci di superare le barriere naturali dell’organismo. Studi preliminari suggeriscono che potrebbero causare infiammazione e stress ossidativo a livello cellulare.

Le microplastiche entrano nel nostro corpo (Immagine generata con AI)
Le microplastiche entrano nel nostro corpo (Immagine generata con AI)

Rischi reali o potenziali?

Gli scienziati sono cauti nell’interpretare questi dati, sottolineando che la ricerca è ancora agli inizi. La difficoltà principale risiede nel misurare particelle così piccole e nel determinare la dose potenzialmente pericolosa. Come ricorda Matthew Campen, tossicologo dell’Università del New Mexico, “la dose fa il veleno” e non è ancora chiaro quale concentrazione possa risultare nociva. I limiti metodologici attuali includono anche la possibile confusione tra microplastiche e lipidi naturalmente presenti nel corpo. Il fatto che uno studio rilevi correlazioni non implica necessariamente un rapporto di causa-effetto.

I modelli animali suggeriscono che l’esposizione alle microplastiche potrebbe alterare il metabolismo e causare problemi riproduttivi. Studi in laboratorio hanno dimostrato possibili danni cellulari, ma trasferire questi risultati agli esseri umani richiede cautela. La ricerca deve ancora chiarire quali tipi di plastiche siano più problematici e quali organi risultino maggiormente vulnerabili. Gli effetti a lungo termine di un’esposizione cronica rappresentano la vera incognita che gli scienziati stanno cercando di risolvere.

Proteggere se stessi senza allarmismi

Forse non sono pericolose, però possiamo fare qualcosa lo stesso. Per chi desidera ridurre l’esposizione alle microplastiche, alcuni semplici accorgimenti possono fare la differenza. Sostituire le bottiglie di plastica con contenitori in vetro o metallo è un primo passo efficace. Questo non solo diminuisce l’ingestione diretta di microplastiche, ma contribuisce anche a ridurre l’impronta ecologica personale. Preferire abiti in fibre naturali come cotone o lana può limitare il rilascio di microfibre sintetiche. Utilizzare cosmetici privi di microplastiche è un’altra scelta semplice ma significativa.

Consigli per limitare l’esposizione

AmbitoAzioneBeneficio
AlimentazioneSostituire bottiglie di plastica con contenitori in vetro o metalloRiduzione diretta dell’ingestione di microplastiche
AbbigliamentoPreferire tessuti naturali (cotone, lino, lana)Minore rilascio di microfibre
Cura personaleUtilizzare cosmetici privi di microplasticheRiduzione esposizione cutanea e ambientale
CasaPulizia regolare per ridurre polvere domesticaDiminuzione inalazione di microplastiche
CucinaEvitare di riscaldare cibi in contenitori di plasticaMinore rilascio di particelle e sostanze chimiche
AcquaUtilizzo di filtri per l’acqua potabileEliminazione parziale delle microplastiche
BucatoLavare tessuti sintetici meno frequentemente e a basse temperatureRiduzione del rilascio di microfibre
BambiniScegliere giocattoli in legno o materiali naturaliMinore esposizione durante il gioco
AriaUtilizzare purificatori d’aria con filtri HEPARimozione di particelle nell’ambiente domestico

La pulizia regolare degli ambienti domestici aiuta a ridurre le particelle plastiche nella polvere. Anche l’uso di filtri per l’acqua potabile può intercettare alcune microplastiche prima che vengano consumate. Lavare i vestiti sintetici meno frequentemente e a temperature più basse può diminuire il rilascio di microfibre. I ricercatori concordano che, in attesa di studi più approfonditi, un approccio di precauzione ragionevole è consigliabile, evitando però allarmismi ingiustificati.

Il futuro della ricerca

La strada verso una comprensione completa degli effetti delle microplastiche sulla salute è ancora lunga. I laboratori di tutto il mondo stanno sviluppando tecnologie più precise per misurare queste particelle e studiarne le interazioni con i tessuti umani. Un obiettivo importante è comprendere quali tipi di plastiche rappresentino un rischio maggiore e quali organi siano più vulnerabili alla loro presenza. Le future ricerche dovranno anche chiarire se esistano soglie di sicurezza e se determinate popolazioni siano più suscettibili agli effetti negativi.

I ricercatori stanno inoltre esplorando possibili soluzioni tecnologiche per filtrare le microplastiche dagli impianti di trattamento delle acque. Un approccio interessante consiste nell’analizzare campioni di tessuti umani conservati da decenni, per tracciare l’evoluzione dell’esposizione nel tempo. Questo tipo di studi retrospettivi potrebbe fornire indizi preziosi sugli effetti a lungo termine, mentre la comunità scientifica continua la sua corsa per comprendere uno dei fenomeni più pervasivi della nostra era.

Alcune fonti usate per questo articolo: