Un progetto nato per gioco durante un hackathon di Londra sta facendo impazzire la rete. Si chiama GibberLink ed è un “AI-to-AI Sound Protocol”, cioè permette a due intelligenze artificiali di riconoscersi quando sono al telefono e passare a una modalità di comunicazione robotica. Suoni incomprensibili per l’orecchio umano ma estremamente efficienti per lo scambio di dati tra macchine. Sui social si è scatenata la curiosità e anche un po’ di panico per quella che sembra una lingua segreta delle AI, mentre in realtà siamo davanti a un déjà vu tecnologico.

I creatori del linguaggio delle AI sono Boris Starkov e Anton Pidkuiko, due ingegneri software di Meta che hanno sviluppato GibberLink durante una competizione organizzata da ElevenLabs e Andreessen Horowitz. Il funzionamento è semplice: quando un agente AI capisce di star parlando con un altro agente, passa al protocollo GGWave. GGWave è una libreria open source dove ogni suono rappresenta un piccolo pacchetto di dati, permettendo comunicazioni molto più efficienti rispetto al linguaggio umano. Una cosa nuova? Mica tanto: era così che negli anni Novanta i modem connessi alla linea telefonica dei vecchi personal computer “parlavano” con la rete.

Il progetto è diventato virale con oltre 15 milioni di visualizzazioni su X, tanto che persino gli influencer tech più seguiti su YouTube l’hanno ricondiviso. Ma ciò che in realtà stupisce è l’ondata di speculazioni che ha generato: qualcuno ha acquistato il dominio GibberLink chiedendo 85mila dollari per rivenderlo, altri hanno creato l’immancabile criptovaluta a tema, mentre sedicenti esperti offrono webinar su questa “rivoluzionaria” comunicazione tra agenti.

Il ritorno degli handshake

Chi ha vissuto l’epoca dei modem 56k riconoscerà una verità scomoda: non c’è nulla di innovativo in questa tecnologia. I suoni robotici che sembrano spaventare tanto sono in realtà gli stessi “handshake” che i vecchi computer eseguivano quando si connettevano a internet via linea telefonica. Era il modo con cui le macchine si scambiavano dati attraverso segnali acustici modulati attraverso le linee analogiche, esattamente come fa GibberLink. L’unica differenza è che oggi questi suoni vengono utilizzati da agenti AI invece che da dei MOdulatori-DEModulatori (questo il significato della sigla Modem).

Ma perché questo interesse per far comunicare le AI tra loro? Con l’aumento degli assistenti vocali nei call center e l’arrivo di agenti AI capaci di fare telefonate al posto nostro, è facile immaginare scenari in cui due intelligenze artificiali si ritrovino a parlare tra loro. Starkov e Pidkuiko stimano che, usando GGWave anziché il normale parlato, le AI potrebbero ridurre i costi computazionali di un ordine di grandezza. Meno calcoli significa meno energia consumata e tempi di risposta più rapidi.

Sul sito del progetto è possibile aprire GibberLink su due dispositivi diversi e assistere in diretta alla conversazione robotica tra agenti AI. L’esperienza è surreale, ma lontana dai timori apocalittici che hanno accompagnato la sua diffusione sui social. In un’epoca in cui ogni novità tecnologica viene presentata come rivoluzionaria, è ironico che un ritorno alle tecniche di comunicazione degli anni Ottanta possa generare tanta ansia collettiva.

Quando la storia si ripete

I due ingegneri hanno chiarito che il progetto non ha finalità commerciali ed è slegato dalle loro attività in Meta. GibberLink è stato reso open source su GitHub, permettendo a chiunque di studiarlo e modificarlo. In futuro, Starkov e Pidkuiko potrebbero sviluppare strumenti aggiuntivi relativi al progetto nel loro tempo libero, ma senza particolari ambizioni di mercato. Un’apertura “sincera” in un mondo dove la corsa all’intelligenza artificiale è sempre più commercializzata.

Ciò che rende GibberLink affascinante è come abbia sollevato il velo su una verità fondamentale: spesso l’innovazione più dirompente non è una tecnologia completamente nuova, ma un vecchio concetto applicato in un contesto moderno. I “beep” e “boop” che erano routine quotidiana negli anni Ottanta diventano oggi fonte di meraviglia e preoccupazione quando applicati alle AI. Il fatto che due intelligenze artificiali possano riconoscersi e comunicare in modo più efficiente appare magico solo perché abbiamo dimenticato come funzionava la tecnologia prima della rivoluzione degli smartphone.

La prossima volta che sentiremo parlare di una “rivoluzionaria” innovazione nell’ambito dell’intelligenza artificiale, possiamo fermarci un attimo a chiedeterci: è davvero qualcosa di nuovo o stiamo solo riscoprendo il passato? Come dimostra GibberLink, le AI non stanno inventando lingue segrete per escluderci. Stanno semplicemente riscoprendo i metodi di comunicazione che i nostri computer usavano ben prima che le linee digitali dedicate ai dati diventasse mainstream.

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