Centotrentra milioni di dollari, non il miliardo promesso. Su questa cifra, raccolta tra dicembre 2015 e il 2019, nasceva OpenAI come organizzazione non profit per lo sviluppo etico dell’intelligenza artificiale. Sam Altman, Elon Musk e gli altri fondatori avevano convinto undici brillanti ricercatori a lasciare posizioni prestigiose per un sogno: creare un’AI sicura e benefica per l’umanità. Greg Brockman, ex direttore tecnico di Stripe, aveva messo a disposizione il suo soggiorno come prima sede.
Il progetto era chiaro: pubblicare tutte le ricerche, collaborare con altre istituzioni, evitare il controllo dell’AI da parte di poche corporation. La struttura non profit garantiva trasparenza e indipendenza, anche se gli stipendi non potevano competere con quelli di Google o Facebook. OpenAI attirava talenti grazie alla sua missione: lo sviluppo responsabile dell’AI era considerato più importante dei compensi milionari della Silicon Valley.
Le prime crepe sono apparse nel 2018 quando Elon Musk si è dimesso dal board, sostenendo che OpenAI si stava allontanando dalla missione originale. Nello stesso anno undici ricercatori hanno lasciato l’azienda per fondare Anthropic, un’organizzazione più fedele agli ideali etici iniziali. Il modello non profit mostrava adesso i suoi limiti nella guerra dei talenti con le big tech: OpenAI non poteva offrire stipendi competitivi alle superstar della ricerca rispetto a Google e Meta.
Tuttavia, è l’uscita di Elon Musk ad aver segnato il destino dell’azienda: Musk se n’è andato accusando Sam Altman di averlo “manipolato e ingannato” riguardo alla direzione dell’azienda, facendo promesse che non sono state mantenute. Musk sostiene infatti che OpenAI abbia tradito la sua missione originaria di lavorare per il bene dell’umanità e di aver messo da parte questi principi solo per diventare una specie di “filiale” di Microsoft. Inoltre, per Musk OpenAI, con Microsoft, avrebbe lavorato per schiacciare tutti i concorrenti nel settore dell’intelligenza artificiale (inclusa la sua startup xAI). Sono questi i motivi che hanno spinto Musk a chiedere a un tribunale americano di bloccare la ristrutturazione di OpenAI, messa in piedi per convertirsi da azienda non profit a impresa a scopo di lucro.
La svolta commerciale
Tuttavia, OpenAI non si è fermata. Nel 2019 la trasformazione in “capped profit”, una società ibrida controllata dalla non profit ma con la possibilità di generare profitti limitati. Microsoft è entrata con un miliardo di dollari, seguiti da altri dieci nel 2023. Gli stipendi sono diventati competitivi ma molti ricercatori storici hanno contestato l’abbandono della totale trasparenza.
Il lancio di ChatGPT nel 2022 ha segnato il punto di non ritorno. Il successo commerciale ha spinto ulteriormente l’azienda verso logiche di mercato, con una valutazione che ha superato i 100 miliardi. Ilya Sutskever, chief scientist e cofondatore, ha iniziato a manifestare preoccupazione per la velocità dello sviluppo e la mancanza di attenzione alla sicurezza.
La crisi è esplosa nel novembre 2023 quando il board ha licenziato Altman, accusandolo di non essere trasparente sullo sviluppo di sistemi sempre più potenti. Il reintegro dopo cinque giorni, sotto la pressione di Microsoft e dei dipendenti, ha portato alle dimissioni di metà dei ricercatori sulla sicurezza dell’AI.

L’eredità tradita
Nel 2024 l’esodo è continuato. Sutskever si è dimesso seguito da Jan Leike, leader del progetto sulla sicurezza dell’AI. Il “superalignment team”, gruppo dedicato allo sviluppo etico dell’AI, è stato chiuso. L’azienda ha ammesso di non aver mantenuto la promessa di dedicare il 20% della potenza di calcolo alla ricerca sulla sicurezza.
La storia di OpenAI è diventata emblematica delle contraddizioni dell’innovazione tecnologica. L’ideale di un’AI democratica e trasparente si è scontrato con le esigenze del mercato e la corsa alla supremazia tecnologica. I pionieri che sognavano di salvare l’umanità dai rischi dell’AI hanno lasciato il posto a manager focalizzati sulla crescita commerciale.
Oggi OpenAI mantiene formalmente la struttura ibrida, ma gli imperativi di business dominano le scelte strategiche. Gli scienziati idealisti che avevano accettato stipendi più bassi per perseguire una missione etica sono quasi tutti andati via. Resta da capire se il modello “profit with cap” sia stato un compromesso necessario o il tradimento di una visione.
Perché crescere?
Anche perché OpenAI è costruita in maniera tale da evolvere sempre: praticamente attraversa una fase di trasformazione costante. Con piani sempre più ambiziosi, come ad esempio il progetto Stargate, e nuovi prodotti (come la ricerca web). E questo adesso vuol dire anche evolvere da un’organizzazione non profit a una società orientata completamente al profitto. Questa transizione è motivata internamente dalla necessità di accedere a maggiori risorse finanziarie per sostenere la crescita, i progetti futuri e la ricerca in corso.
E non va dimenticato anche che, trasformando OpenAI in una società for profit, Sam Altman e altri dirigenti riceveranno azioni della società, allineando i loro interessi finanziari con quelli degli investitori e diventando molto, molto ricchi. Forse lo scopo iniziale di Sam Altman era anche quello?
Secondo Elon Musk, sì. E forse è per quello che il co-fondatore di OpenAI ha tentato anche una mossa dell’ultima ora, offrendo 97,4 miliardi di dollari tramite un consorzio di investitori, per acquisire OpenAI e riportarla alla sua missione originale, cioè di essere un soggetto non profit orientato alla sicurezza dello sviluppo dell’intelligenza artificiale. Musk, infatti, ha sempre detto di avere dei grandi timori riguardo ai rischi associati all’intelligenza artificiale avanzata. L’imprenditore sudafricano ha infatti ribadito più volte pubblicamente che lo sviluppo di una AI superumana rappresenta una minaccia significativa per l’umanità e che lui ha sempre e solo voluto garantire che la ricerca in questo campo fosse condotta in modo responsabile.
L’offerta di acquistare OpenAI è stata respinta da Sam Altman (anche se rimane sul tavolo fino al 10 maggio 2025 a meno che OpenAI non interrompa la sua conversione in società a scopo di lucro) mentre Altman gli ha risposto proprio su X con molto sarcasmo che, al contrario, avrebbe potuto comprare lui stesso il social di Musk “per 9,74 miliardi di dollari”. Ci ha pensato Musk a chiudere lo scambio, definendo Altman “un truffatore“.