Siamo veri o viviamo in una simulazione? Elon Musk è convinto che sia più probabile l’idea di una simulazione, ma in realtà la domanda che ci dovremmo fare è diversa: di cosa parliamo quando parliamo di una simulazione? E perché potremmo essere gli abitanti non della “realtà base” ma di una realtà simulata di secondo, terzo, ennesimo livello all’interno dell’originale?
Intanto dobbiamo capire una cosa. Una simulazione perfetta dell’universo richiede una potenza di calcolo immensa, ma non impossibile. Lo dimostra il lavoro del team di astrofisici dell’Università di Washington che nel 2023 ha creato una simulazione dettagliata dell’evoluzione di cinque galassie. Un risultato che apre nuovi scenari sulla complessità computazionale necessaria per replicare la realtà, alimentando una teoria che da più di vent’anni divide la comunità scientifica.
Facciamo un salto indietro: la questione della simulazione, che non solo la fantascianza ma anche la filosofia e le religioni hanno toccato da tantissimo tempo, ha assunto i contorni del dibattito scientifico nel 2003, quando Nick Bostrom dell’Università di Oxford ha pubblicato un articolo rivoluzionario sul Philosophical Quarterly. Il filosofo ha dimostrato attraverso un rigoroso ragionamento probabilistico che esistono solo tre possibilità: le civiltà tecnologicamente avanzate si autodistruggono prima di poter creare simulazioni perfette, oppure non sono interessate a crearle, oppure noi viviamo già in una simulazione.
La potenza del quantum computing
Perché esista una simulazione dell’universo occorrono delle macchine molto potenti per poterla calcolare. Fino a cinquant’anni fa non erano neanche immaginabili, oggi sono dietro l’angolo. Ad esempio, i computer quantistici di IBM e Google hanno recentemente superato la soglia dei 1000 qubit, avvicinandosi al punto in cui la potenza di calcolo potrebbe permettere simulazioni di complessità impensabile. Secondo Michio Kaku, fisico teorico alla City University di New York, entro il 2030 la computazione quantistica raggiungerà livelli sufficienti per simulare sistemi complessi paragonabili a sezioni del nostro universo. È una previsione molto controversa, ma comunque è basata su delle interpretazioni chiare di teorie e fatti.
Comunque, se fosse così, se veramente vivessimo in una simulazione, ce ne accorgeremmo? Forse sì, secondo alcuni scienziati. In teoria ci sarebbero delle “imperfezioni” che potremmo individuare. Questa teoria trova sostegno anche nelle anomalie della fisica quantistica. Il filosofo dell’Università di New York David Chalmers ha evidenziato come fenomeni quali l’entanglement e il principio di indeterminazione di Heisenberg potrebbero essere interpretati come ottimizzazioni di una simulazione cosmica, modi per risparmiare risorse di calcolo simili a quelle utilizzate ad esempio nei moderni motori grafici per gestire le risorse computazionali in maniera più efficiente. Anche questa è una teoria controversa, ma comunque tutta da confutare.
Le implicazioni pratiche
Torniamo all’ipotesi di partenza. Quindi, secondo le idee proposte da molto scienziati teorici in questi anni, avrebbe senso indagare se questa ipotesi della simulazione sia qualcosa di più che non una semplice ipotesi. E infatti, lo stiamo facendo. Il MIT ha avviato nel 2024 un programma di ricerca dedicato specificamente all’identificazione di potenziali “firme” di una realtà simulata. Il progetto, guidato da Seth Lloyd, utilizza tecniche di machine learning per analizzare pattern nel comportamento delle particelle subatomiche che potrebbero rivelare limiti computazionali della simulazione.
Non si tratta di un esercizio astratto e senza ricadute sulla realtà. Le conseguenze di questa teoria vanno oltre la fisica teorica. La Simulation Theory, come viene chiamata nella comunità scientifica, ha implicazioni profonde per la cosmologia, la filosofia della mente e persino la teoria dell’informazione quantistica. Il fisico James Gates della Brown University ha identificato codici di correzione degli errori nel tessuto matematico della supersimmetria, simili a quelli utilizzati nei computer. Un indizio o un fenomeno totalmente “naturale”?

Dalla teoria alla verifica
La comunità scientifica sta sviluppando esperimenti concreti per testare l’ipotesi. L’osservatorio gravitazionale LIGO cerca anomalie nelle onde gravitazionali che potrebbero indicare “artefatti” della simulazione. Il Large Hadron Collider del CERN analizza le collisioni di particelle cercando pattern che suggeriscano limiti computazionali nelle leggi della fisica.
Il tema, insomma, è all’attenzione degli scienziati. L’obiettivo non è indagare solo questa teoria, ma portare avanti gli altri filoni di indagine della fisica, tenendo di conto che i risultati degli esperimenti vanno confrontati anche con queste ipotesi. La ricerca continua su più fronti, con risultati che potrebbero arrivare nei prossimi anni. Nel frattempo, il dibattito ha attirato l’attenzione di giganti tecnologici come Google e Microsoft, che stanno investendo in ricerca quantistica proprio per esplorare i limiti della simulazione computazionale della realtà.
La computazione al limite del tempo
Non tutti gli scienziati cercano prove della simulazione nel presente. Il fisico Frank Tipler della Tulane University ha proposto una teoria radicale: le civiltà superintelligenti potrebbero attendere la fine termica dell’universo per sfruttare condizioni fisiche estreme. Quando la temperatura si avvicinerà allo zero assoluto, la resistenza elettrica scomparirà completamente, permettendo calcoli di potenza inimmaginabile.
Questa teoria, nota come “Omega Point“, anch’essa molto dibattuta, suggerisce tuttavia che le simulazioni più complesse potrebbero essere eseguite in questi ultimi momenti dell’universo. Il professor Max Tegmark del MIT ha provato a dimostrare che, in queste condizioni, un singolo calcolo quantistico potrebbe simulare interi universi con una precisione perfetta, sfruttando l’energia residua dell’universo morente. Insomma, noi potremmo essere una delle infinite simulazioni dell’ultimo momento di vita di un unico universo contemporaneamente “vero” e “morente”.
La natura della coscienza
Ad ascoltare questi ragionamenti c’è davvero di che farsi prendere dalla vertigine. Ma sarebbe prematuro, perché ci sono anche altre cose che ci riguardano molto più da vicino. Infatti, la questione si intreccia con il dibattito sulla natura degli esseri senzienti. Il neuroscienziato Christof Koch del Allen Institute for Brain Science sostiene che la coscienza potrebbe emergere da qualsiasi sistema sufficientemente complesso, sia esso biologico, sintetico o simulato. La differenza tra questi tre stati potrebbe essere puramente formale. Insomma, che gli esseri viventi siano solo biologici o addirittura “fisici” sarebbe una specie di “bias“, un nostro pregiudizio perché in realtà le possibilità sarebbero molte di più.
Questa prospettiva trova supporto nelle recenti scoperte nel campo dell’intelligenza artificiale. Gli esperimenti di DeepMind con reti neurali artificiali mostrano comportamenti emergenti sorprendentemente simili a quelli degli organismi biologici. Il professor Stuart Hameroff dell’Università dell’Arizona suggerisce che la coscienza stessa potrebbe essere un fenomeno quantistico, ugualmente “reale” in tutti e tre i domini.
I confini sfumati della realtà
Insomma, la distinzione tra esseri biologici, sintetici e simulati potrebbe essere molto più sfumata di quanto si pensasse. Il biologo Joshua Bongard dell’Università del Vermont, in una serie di altri esperimenti, ha creato “organismi robotici” utilizzando cellule staminali, dimostrando come la linea tra biologico e sintetico sia già molto sottile di suo. La simulazione, in questo contesto, potrebbe essere semplicemente un altro stato della materia organizzata in modo complesso. Insomma, anche se buttiamo la Natura fuori dalla porta, può sempre rientrare dalla finestra.