In che modo l’intelligenza artificiale entrerà in contatto con le leggi e la giustizia? Secondo alcuni scrittori di fantascienza l’idea era semplice: nel futuro avremo dei giudici robot inappuntabili, capaci di “capire tutto” e dare le risposte perfette, senza alcun bias. Applicheranno la legge e basta.

Interessante, ma poco probabile. Anche se è da tantissimo che si pensa a questo tipo di soluzione. Se volete divertirvi con gli amici a cena, potete chiedere loro quando pensano che sia nata l’idea di un “giudice-robot” capace di dare soluzioni imparziali basate sulla sola logica. È improbabile che rispondano: il diciottesimo secolo. Ma è così.

Leibniz, tre secoli fa

Il primo a pensare di creare una lingua logica e perfetta capace di descrivere e comprendere la realtà senza ambiguità è stato un famoso filosofo tedesco, Leibniz, vissuto tra il 1646 e il 1716.

Stepped Reckoner, la calcolatrice di Leibniz
Stepped Reckoner, la calcolatrice di Leibniz

Voleva creare una “lingua universale” capace di rappresentare in maniera univoca tutti i concetti, senza ambiguità. E poi sviluppare uno strumento logico di tipo meccanico capace di processare le frasi di questa lingua ideale, per determinare quali fossero valide da un punto di vista logico e quali no. Con questo sistema le controversie tra le parti sia in ambito scientifico che filosofico che anche giuridico si sarebbero potute risolvere molto facilmente. Senza ambiguità e senza imprecisione, il linguaggio naturale sarebbe diventato perfetto.

Nessuno è riuscito a realizzarlo, però non va dimenticato un particolare fondamentale: Leibniz ha influenzato tantissimo la logica matematica (alla base dell’informatica) e l’idea stessa di intelligenza artificiale.

La biblioteca della Camera dei Deputati - Fonte Rai Parlamento
La biblioteca della Camera dei Deputati – Fonte Rai Parlamento

L’AI entra in Parlamento

Tuttavia, se torniamo alla domanda iniziale: in che modo l’intelligenza artificiale entrerà in contatto con le leggi e la giustizia, una nuova risposta sta facendo capolino (per orientarsi perlomeno tra gli organi, le corti di giustizia e le normative del nostro continente, abbiamo preparato un piccolo glossario dell’Unione Europea).

Oggi, secondo il Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) ogni processo decisionale automatizzato, nel contesto giurisdizionale, è vietato, salvo che non lo prevedano il diritto dell’Unione o dello Stato membro: ad oggi, non c’è una fonte del diritto, nemmeno secondaria, che lo consenta (tuttavia, il GDPR prevede delle eccezioni, ad esempio nei casi in cui l’automazione sia necessaria per l’esecuzione di un contratto, sia consentita dal diritto o avvenga con il consenso esplicito dell’interessato).

Il tema dei processi automatizzati in certi contesti e l’uso delle AI nei procedimenti decisionali e un tema in evoluzione e in futuro potrebbero essere introdotte nuove leggi per regolamentarlo. Tuttavia, nonostante il sogno di giudici-robot e di sistemi automatici per creare sentenze o pareri legali (tra l’altro: molti avvocati e alcuni giudici stanno già provando a usare ChatGPT per scrivere più velocemente, in alcuni casi con dei risultati erronei) in realtà l’applicazione più interessante è un’altra. Quella di usare l’intelligenza artificiale per scrivere le leggi. E semplificare quelle esistenti.

Troppe leggi di tutti i tipi

Se pensiamo all’Italia, c’è un problema di eccesso di regolamentazione. Non sappiamo neanche quante sono esattamente le leggi in vigore: si stima che siano 15mila quelle nazionali, tra leggi, decreti legge e decreti legislativi. E poi ci sono decine e decine di migliaia di regolamenti di vario tipo e livello (governativi, ministeriali, regionali, comunali), ancora di più gli atti amministrativi (che solo a livello nazionale sono centinaia di migliaia all’anno, tra decreti, ordinanze, circolari e interpelli) sino ad arrivare al livello più elevato, cioè l’Unione europea. Che quanto a produzione normative non scherza.

La UE pubblica sulla sua Gazzetta ufficiale europea regolamenti e direttive, ma anche decisioni e altre tipologie di atti, con una cadenza impressionante. Tutte con una specifica forma di validità dettata dai principi costitutivi dell’ordinamento, che regolano la “gerarchia delle fonti“, lo strumento fondamentale per aiutare gli interpreti della legge (sia i giudici che gli amministratori che qualsiasi pubblico funzionario) a capire cosa applicare.

Archivio di Stato con gli originali di tutte le vecchie leggi italiane
Archivio di Stato Italiano con gli originali di tutte le vecchie leggi italiane

Una legge è per sempre

Sì, perché di fondo c’è un problema: le leggi non scadono mai. E neanche gli altri atti. Devono essere casomai abrogati da altri atti successivi. Che alle volte possono abrogare tutto, altre volte solo una parte, altre volte modificare, altre volte aggiungere o far interpretare in maniera diversa.

Per un periodo ad esempio la nostra Corte Costituzionale, l’organo più elevato della giustizia italiana che ha poche attribuzioni ma fondamentali, aveva inaugurato una stagione di “sentenze creative” che cioè producevano diritto laddove non ce n’era, pur non avendo la Corte questa facoltà (limitata al Parlamento e, in piccola parte indiretta, al Governo) in maniera appunto “creativa”, cioè ritagliando la lettera di alcune leggi per far sì che dicessero altro. Praticamente quasi come le lettere dei ricattatori, fatte ritagliando parole innocenti dalle pagine di un giornale per creare un altro testo. E, simmetricamente, anche molti referendum di proposta popolare, poi quasi mai approvati e votati, erano pensati alla stessa maniera.

La più vecchia legge in vigore

In tutto questo, il problema è che spesso non abbiamo idea di quale norma astratta si possa applicare a una fattispecie concreta perché non riusciamo a districarci nel ginepraio delle normative che si accavallano, sovrappongono, cancellano, ibridano e via dicendo. Considerando anche che le norme valide nel nostro ordinamento non risalgono semplicemente alla nascita della Repubblica, nel 1948, o a quella del Regno d’Italia nel 1861, ma ancora prima, con lo Statuto Albertino, promulgato il 4 marzo del 1848.

Il 4 marzo 1848 nasce lo Statuto Albertino
Il 4 marzo 1848 nasce lo Statuto Albertino

Sì, avete letto bene: sono più di un secolo e mezzo di atti diversissimi pubblicati sulle gazzette ufficiali di regni, repubbliche e sistemi giuridici vari, tenuti assieme dal principio della continuità legale, che oggi addirittura è difficile reperire e leggere. Scritti all’inizio con un italiano che oggi giudichiamo antico, malamente comprensibile, incubo e tormento di ogni storico del diritto.

E non ci fermiamo neanche al 1848. Se andiamo a cercare quali sono le più antiche norme recepite dal nostro ordinamento (facendo salvi i principi del diritto Romano) alcune risalgono alle disposizioni in vigore nel Granducato di Toscana (stiamo parlando del 1700) recepite nella legislazione sabauda e poi italiana: si tratta della Legge estense che, in parte, ancora disciplina l’estrazione di marmo dalle cave di Massa e Carrara. E come queste norme ce ne sono anche altre, sepolte da un richiamo in un comma di una legge o di un regolamento di un numero lontanissimo della Gazzetta Ufficiale che rimanda a un’altra norma che rimanda a un’altra norma, fino a sprofondare nella notte dei tempi. Incredibile, vero?

Il costo della trasformazione

In realtà, è un problema. Lo Stato di Diritto è come la città di Venezia: sorge sulle palafitte di legislazioni antichissime (e ormai consumate dal tempo.

Come si fa a rimediare senza rompere tutto? Come si fa, cioè, rimettere tutto a posto e partire in un sistema “leggero” e “chiaro”, in cui i cittadini e tutti gli altri soggetti dell’ordinamento possano avere una maggiore facilità di comprensione oltre che di semplice certezza del diritto?

Una soluzione potrebbe essere quella di cancellare tutto, tirare una riga e ripartire da zero. Ma, seppure possibile in teoria (molto in teoria), è impossibile in pratica. Cioè, è proprio vietato. Non possiamo abbattere arbitrariamente il dettato di leggi con validità e “potere” differenti, che stabiliscono o sono giustificate da principi della Costituzione o dei trattati europei o dei trattati internazionali o addirittura delle norme consuetudinarie internazionali. Nessun governo ne avrebbe mai il potere.

E per arrivare a gestire un tale processo di trasformazione (che nonostante le varie crisi attraversate dalla storia contemporanea del nostro Paese, nessuno si è mai neanche sognato di fare) occorrerebbe uno sforzo talmente superiore al risultato da renderlo vano.

L’altra soluzione

Quel che invece si potrebbe fare, e che alcuni stanno cominciando a pensare, è utilizzare l’intelligenza artificiale innanzitutto per “leggere” e “capire” tutte queste leggi e regolamenti vari. Magari per trovare anche delle contraddizioni logiche di livello più alto: le interpretazioni in dottrina sono riservate agli studiosi ma ci sono anche altre interpretazioni, come quelle fatte dalla magistratura, negli interpelli, nelle circolari di vari enti, e poi quelle delle Corte costituzionale italiana e del suo omologo europeo però di livello superiore.

Quindi, l’AI dovrebbe essere addestrata su tutta la normativa italiana. Intanto, per capirla e consentirci di fare domande con risposte “semplici” ma “sicure”. E poi per cominciare un lavoro di disboscamento e ristrutturazione di fino. Una serie di leggi mirate e costruite automaticamente che cancellino atti precedenti antichissimi ancora validi, creando poi nuovi testi unici (una soluzione per la semplificazione e la delegificazione) sino ad arrivare a procedimenti legislativi in cui l’estensore manuale sia l’AI mentre i giuristi e i tecnici sono i controllori, piloti e verificatori dei contenuti.

La sala studio dell'archivio di Stato
La sala studio dell’archivio di Stato a Roma

La grande semplificazione

Un lavoro di questo tipo potrebbe portare alla semplificazione delle semplificazioni, non solo riformando (senza cambiare) le normative vigenti, ma anche rendendole molto più semplici e comprensibili. Sarebbe, forse un po’ utopicamente, una forma storica di riorganizzazione, chiarificazione e rimessa a posto del nostro sistema giuridico. Buttando via i doppioni e ciò che non serve, riscrivendo in maniera più moderna l’utile e il necessario.

Certo, questa è una ipotesi. Peraltro, con delle difficoltà enormi: capire cosa “serve” e cosa no è un giudizio chiaramente arbitrario. Ma, fino a un certo livello, per poter semplificare le normative, quando gli indirizzi normativi contemporanei sono molto chiari, sarebbe in realtà semplice. E permetterebbe di disboscare tantissime piccole aree grigie che ci portiamo dietro da un secolo e mezzo.

È anche possibile però che succeda tutto il contrario. Un terribile contrario. Cioè che l’intelligenza artificiale possa essere utilizzata dai vari partiti politici anche per creare un numero pressoché infinito di nuove norme, portando a una iperproduzione normativa: una ipertrofia priva di qualsiasi senso del limite. Questo però è da sperare proprio che non succeda.

Alcune fonti per questo articolo: