La prima cosa che colpisce chi oggi accenda il primo modello di Macintosh, il computer di Apple messo in vendita il 24 gennaio 1984, è quanto sembri simile ai Mac di oggi.
Certo, lo schermo del modello 128K era un semplice CRT monocromatico da 9 pollici con una risoluzione di 512 per 342 pixel (pari a 72 Ppi). Certo, aveva solo 128 Kilobyte di memoria Ram e nessun hard disk: si usava l’unica porta del floppy disk per inserire i dischetti da 800 Kilobyte di memoria. E certo, non era una procedura rapida: serviva un disco per caricare il sistema operativo, poi un altro con i programmi e infine un terzo disco per caricare e salvare i documenti a cui si voleva lavorare. E certamente il processore Motorola 68000 viaggiava piano, a 8 soli MHz.
L’interfaccia rivoluzionaria basata su icone, puntatore, menu e finestre, ha cambiato il modo di usare il computer
Eppure, la logica di funzionamento del sistema operativo di quello scatolotto beige di 34,5 per 24,4 per 27,7 centimetri che pesava circa 7,5 chilogrammi, è quasi identica a quella di un MacBook Pro del 2024. L’interfaccia è quella, basata sul lavoro di ricerca del Parc della Xerox e già sperimentata da Apple con il precedente Lisa del 1983. I colori e lo stile delle icone era in parte diverso, perché in bianco e nero e con meno risoluzione, ma la logica è identica. Gli esperti la chiamano “Wimp”, acronimo che sta per “windows” (generiche finestre), icone, menu e puntatore. Inoltre, il mouse, che oggi diamo per scontato, per la prima volta era di serie, nonostante fosse stato inventato da Douglas Engelbart già nei primi anni Sessanta.
La scommessa di Steve Jobs
Insomma, il fatto stesso che accendendo un Macintosh del 1984 ci sentiamo a casa come se usassimo un Mac del 2024 qualcosa vuol dire. Cioè che, quarant’anni dopo, la scommessa di Steve Jobs e del suo gruppo di “pirati” di creare un computer completamente diverso, “per il resto di noi“, è stata abbondantemente vinta. E se riguardiamo la presentazione del Macintosh, in cui il computer stesso, una volta acceso, lancia una demo grafica che comincia con un “Hello” e poi parte con musica, grafica e sintesi vocale, ci rendiamo conto di quanto sia in realtà molto più simile a un computer di oggi che non a un computer di quarant’anni fa.
La storia del Mac (e del primo spot di Ridley Scott trasmesso una volta sola durante il SuperBowl del 1984) ha ispirato un numero enorme di libri e di articoli, video e racconti che spiegano, quasi giorno per giorno, da chi e come è stato creato il primo personal computer moderno. Jobs aveva infatti preso il controllo del progetto sviluppato da un altro dipendente di Apple, Jef Raskin. Quest’ultimo voleva creare un computer a basso costo ma facile da usare per andare incontro agli utenti più giovani.
Nel Far West dei primi micro e mini computer la regola era la mancanza di uno standard: gli hardware e i sistemi operativi erano sempre completamente incompatibili
A cavallo tra gli anni Settanta e i primi Ottanta erano spuntati home e personal computer come funghi, esistevano decine di standard diversi e la stessa Ibm, che nel 1981 aveva presentato i P.C. compatibile, faceva fatica a conquistare il mercato, nonostante avesse un velocissimo sistema operativo (Ms-Dos) commercializzato da Microsoft, una piccola società con sede a Albuquerque, New Mexico, per motivi fiscali. Non era strano dunque voler creare un computer completamente diverso dagli altri, sia dal punto di vista hardware che del sistema operativo. Lo facevano in molti ma in realtà non riusciva a nessuno.
Una bicicletta per la mente
Steve Jobs fu il primo che pensò con successo al personal computer come un prodotto unico, reimmaginato dall’inizio alla fine. Pratico come un elettrodomestico e al tempo stesso potente come una bicicletta per la mente.
Apple aveva avuto già successo con l’Apple II del 1977, un computer senza interfaccia grafica ma molto flessibile per la casa e l’ufficio. E poi gli era andata molto male con il Lisa del 1983, che aveva una interfaccia rivoluzionaria ma costava troppo e non aveva un vero pubblico di riferimento. Jobs era convinto che fosse necessario un computer molto facile da usare e al tempo stesso potente. Un computer in grado cambiare il paradigma esistente.
Il Macintosh fece tutto questo e anche di più. Fu una vera e propria opera d’arte in ambito tecnologico (e infatti Jobs volle che il team lo firmasse fisicamente, stampando nell’interno della scocca dei Macintosh 128K gli autografi di chi aveva lavorato alla sua creazione) che ispirò moltissime persone in ambiti diversi, non solo tecnologici. [Come diceva varie pubblicità dell’azienda, era il computer “per il resto di noi”. Per i creativi, i sognatori, i ribelli (e i gamer). Non solo per gli ingegneri, i manager e i contabili, cioè gli utenti tipici dei computer “seri” dell’epoca.
La rivoluzione entra in casa
A partire dal 1984 i Macintosh fecero così la loro comparsa nelle abitazioni delle persone, negli uffici, nei laboratori e centri di ricerca, ma anche nelle case editrici e nei giornali, nei conservatori musicali, negli studi televisivi, nelle scuole e nei negozi. In migliaia di posti dove prima nessuno aveva immaginato di vedere un computer all’improvviso spuntò un Mac.
Facili da usare, molto costosi (al lancio il primo Macintosh costava l’equivalente di 7.300 dollari di oggi) e decisamente rivoluzionari. Un esempio per tutti: il dekstop publishing. Oggi diamo per scontato che si possa creare qualsiasi tipo di testo per la stampa, da un libro a una rivista a un giornale sino a un depliant o a un manifesto, direttamente con il computer. La stampa, magari laser, avviene automaticamente. Prima del Macintosh non era così: i processi di composizione e stampa tradizionali erano molto più complicati, laboriosi e limitati.
Non c’è mela senza spine
Il primo Macintosh tuttavia non era esente da difetti. Innanzitutto aveva decisamente troppo poca memoria: infatti il modello successivo rilasciato a fine del 1984 venne portato a 512K e molti dei primo Mac vennero aggiornati, aumentando la memoria. La caratteristica forma a scatolotto, che limitava fortemente l’espandibilità della macchina, venne tenuta sino al 1993, quando venne commercializzato l’ultimo Macintosh Classic II. In realtà già dal 1985 con il Macintosh XL e poi dal 1987 con il Macintosh II Apple cominciò a vendere anche computer con scocche più tradizionali e monitor esterni.
L’idea di un computer all-in-one però non venne abbandonata. Quando Steve Jobs rientrò in Apple, dopo esserne stato cacciato nel 1985, fece disegnare dal designer Jony Ive il primo iMac del 1998. Un computer progettato attorno al suo monitor, piccolo e compatto, trasportabile e che non a caso venne presentato con lo slogan “Hello, again“. L’iMac è stato la base per il rilancio di Apple ed è ancora in produzione, ma questa è un’altra storia.
Alcune fonti di questo articolo:
- https://computerhistory.org/exhibits/hello-the-mac-at-40/
- https://www.wired.it/article/mac-anniversario-40-anni-computer-apple/
- https://www.macworld.com/article/2216095/40-years-mac-immortal.html
- https://theconversation.com/mac-at-40-user-experience-was-the-innovation-that-launched-a-technology-revolution-220535